Opposizione a decreto ingiuntivo: su chi incombe l’onore di introdurre il procedimento di mediazione?

Con ordinanza n. 18741 del 12.7.2019 la Terza Sezione civile della Cassazione ha rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la seguente questione di massima di particolare importanza: se, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, l’onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione ricada sul debitore opponente, in quanto parte interessata all’instaurazione e alla prosecuzione del processo ordinario di cognizione, posto che, in difetto, il decreto acquista esecutorietà e passa in giudicato, ovvero sulla parte opposta, che ha proposto la domanda di ingiunzione ed è attore in senso sostanziale, tenuto conto che l’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 onera dell’attivazione della condizione di procedibilità della domanda giudiziale “chi intende esercitare in giudizio una azione”.

Premette la Corte che in base all’art. 5 d. Igs. 4 marzo 2010, n. 28, chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in una delle materie indicate dalla medesima disposizione, fra cui quella del caso di specie (contratti bancari), è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione, previsto dal medesimo decreto legislativo, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Se la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di durata del procedimento di mediazione (non superiore a tre mesi). Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda. Il termine, secondo quanto si evince dalla disciplina indicata, è assegnato contestualmente alle parti, ma è evidente che è interesse della parte che ha proposto la domanda esperire il procedimento di mediazione, posto che ne va della stessa procedibilità della domanda. Il quarto comma dell’art. 5 prevede, fra l’altro, che l’indicata disciplina non si applica ai procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione. Ne discende che, costituendo i provvedimenti di cui agli artt. 648 e 649 cod. proc. civ. una mera eventualità nel processo, il procedimento di mediazione potrebbe non trovare per nulla applicazione nell’opposizione a decreto ingiuntivo. Inoltre mentre per l’esecuzione provvisoria è previsto che il giudice istruttore provveda in prima udienza, non altrettanto è disposto per la sospensione dell’esecuzione provvisoria concessa in sede di emissione del decreto ingiuntivo. La disciplina dell’eccezione o rilievo d’ufficio alla prima udienza dovrebbe quindi essere coordinata con la specialità del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo. Benché il legislatore non indichi chi, fra l’opposto e l’opponente debba ritenersi onerato della proposizione dell’istanza di mediazione, si deve accertare su quale soggetto ricadano le conseguenze negative dell’improcedibilità, nel caso di mancata proposizione dell’istanza nonostante il termine assegnato dal giudice.

Ciascuna delle due opzioni in ordine all’esperimento della mediazione, quella grava il debitore opponente e quella che grava il credito opposto, è assistita da ragioni tecniche.

Si può sostenere in primo luogo, come affermato da Cass. 3 dicembre 2015, n. 24629, che l’onere processuale ricada in capo al debitore opponente in quanto parte interessata all’instaurazione e alla prosecuzione del processo ordinario di cognizione, posto che, in mancanza di opposizione o in caso di estinzione del processo, il decreto acquista esecutorietà e passa in cosa giudicata. Proprio perché la parte interessata ad instaurare il giudizio di cognizione, ed a coltivarlo affinché pervenga alla decisione di merito, è il debitore opponente, su di lui dovrebbero ricadere le conseguenze negative nel caso di mancato esperimento del procedimento di mediazione.

Per contro si può sostenere che l’onere processuale sia a carico del creditore ingiungente. Militerebbe in tal senso la circostanza che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale e che nel caso dell’opposizione a decreto ingiuntivo, come è noto, attore in senso sostanziale è l’ingiunto che ha proposto la domanda di ingiunzione. Con la proposizione dell’opposizione la vertenza torna ad essere quella dell’accertamento dell’an e del quantum del credito in sede di cognizione piena e l’art. 5 del d. Igs. n. 28 del 2010 onera dell’attivazione della condizione di procedibilità «chi intende esercitare in giudizio un’azione».

Per il vero, stante la funzione discriminante ai fini dell’applicazione della disciplina in discorso dei provvedimenti di cui agli artt. 648 e 649, è stato anche proposto in dottrina che l’onere sia in capo all’opposto qualora sia stata disposta la sospensione dell’esecuzione provvisoria e in capo all’opponente se sia stata concessa l’esecuzione provvisoria del decreto, ma la soluzione interpretativa, a parte l’assenza di un chiaro fondamento normativo, non pare al Collegio condivisibile perché disarticola l’onere processuale dalla domanda, ovvero dall’atto di opposizione, laddove invece l’esperimento della mediazione resta condizione di procedibilità della domanda.

Le due indicate posizioni sono in realtà proiezione di principi costituzionali.

Per quanto concerne la tesi dell’onere a carico del debitore opponente il principio di riferimento è stato illustrato da Cass. 3 dicembre 2015, n. 24629 nei seguenti termini: «attraverso il decreto ingiuntivo l’attore ha scelto la linea deflattiva coerente con la logica dell’efficienza processuale e della ragionevole durata del processo. E’ l’opponente che ha il potere e l’interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore. E’ dunque sull’opponente che deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria perché è l’opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga. La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perché premierebbe la passività dell’opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice». Si fa quindi riferimento in questo caso, oltre che alle ragioni proprie del procedimento monitorio, ispirate ad efficienza ed economia processuale, al principio costituzionale di ragionevole durata del processo.

Per quanto concerne la tesi dell’onere a carico del creditore opposto l’esigenza che viene in rilievo è quella che l’accesso alla giurisdizione condizionata al previo adempimento di oneri non può tradursi nella perdita del diritto di agire in giudizio tutelato dall’art. 24 Cost., come affermato da Corte cost. 16 aprile 2014, n. 98 (e non deve violare il principio della tutela giurisdizionale effettiva, come affermato da Corte giust. 18 marzo 2010, cause riunite C-317/08, C- 318/08, C-319/08 e C-320/08 in relazione al tentativo obbligatorio di conciliazione in materia di comunicazioni elettroniche). Il diritto di agire in giudizio, in termini di diritto di accertamento negativo del credito, potrebbe essere compromesso dall’esecutività ed immutabilità del decreto ingiuntivo che conseguirebbe alla pronuncia di improcedibilità per non avere il debitore opponente assolto l’onere a suo carico, senza che tale ipotesi possa equipararsi a quella dell’acquisto dell’efficacia esecutiva da parte del decreto per effetto dell’estinzione del processo (art. 653, comma 1, cod. proc. civ.), la quale è conseguenza dell’inattività della parte all’interno del processo, una volta che il diritto di azione sia stato esercitato, mentre nell’ipotesi in esame l’irretrattabilità del decreto ingiuntivo, e la relativa perdita del diritto di agire in giudizio, deriverebbero dall’inattività relativa ad un rimedio preventivo rispetto al processo. Nel caso invece di onere incombente sul creditore opposto, alla pronuncia in rito di improcedibilità dovrebbe accompagnarsi la revoca del decreto ingiuntivo, ma resterebbe pur sempre ferma la possibilità per il creditore di riproporre la domanda (anche di semplice ingiunzione).

Ritiene il Collegio che sussista il presupposto della questione di massima di particolare importanza che giustifica la rimessione alle Sezioni Unite. Entrambe le posizioni evidenziate sono assistite da valide ragioni tecniche e appaiono essere proiezione di diversi principi. La questione riveste particolare importanza perché tocca un tema sul quale, per riprendere le parole di Cass. 15 dicembre 2011 n. 27063 (con cui fu chiesta la valutazione di opportunità della rimessione alle Sezioni Unite in ordine alla questione della fattibilità del concordato preventivo), «si registra non solo un ampio dibattito in dottrina ma anche un tuttora non sopito contrasto nella giurisprudenza di merito, reso più acuto dalla frequenza delle questioni che in siffatta materia vengono sottoposte a giudizio». La vastità del contenzioso interessato dalla mediazione (condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari), ed il diffuso ricorso al procedimento monitorio, richiedono a parere del Collegio, in considerazione dei presupposti evidenziati, la rilevanza nomofilattica della pronuncia delle Sezioni Unite. P. Q. M. La corte rimette gli atti al Primo presidente per consentirgli di valutare l’opportunità che il ricorso sia sottoposto all’esame

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