Onorari di avvocato per la difesa in due gradi di giudizio: come si richiedono?

Cassazione Civile Sez. 6 Ordinanza Num. 16212 Anno 2019

Presidente: D’ASCOLA PASQUALE Relatore: FORTUNATO GIUSEPPE

Data pubblicazione: 17/06/2019

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Il caso

Il Tribunale di Napoli ha dichiarato la propria incompetenza in relazione alla domanda di liquidazione dei compensi professionali proposta dal ricorrente per il patrocinio svolto in favore del Condominio di Via Petrarca n. 66 di Napoli, nel giudizio definito dal medesimo Tribunale con sentenza n. 5826/2014 e dalla locale Corte d’appello con sentenza n. 4007/2015. Il giudice di merito ha sostenuto che se la domanda ha ad oggetto la richiesta di compensi per l’attività svolta in più gradi di causa, l’intera lite rientra nella competenza del giudice di secondo grado (o di quello che abbia conosciuto per ultimo della controversia), essendo solo questi in grado di valutare l’intera attività svolta e di liquidare il compenso nella misura più adeguata. Avverso detta decisione l’avv. Prospero Pizzolla ha proposto ricorso per regolamento di competenza strutturato in un unico motivo. Il Condominio di Via Petrarca n. 66 di Napoli ha depositato memoria difensiva.

La decisione della Corte

Si legge nella motivazione:

“1.1. L’originaria formulazione dell’art. 28, L. 794/1942 disponeva che “per la liquidazione, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato o il procuratore, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura, deve, se non intende seguire la procedura di cui all’art. 633 e seguenti del codice di procedura civile, proporre ricorso al capo dell’ufficio giudiziario adito per il processo. Tale competenza era ritenuta funzionale, non derogabile (Cass.27402/2013; Cass. 13001/2001; Cass. 993/1995; Cass.9628/1995; Cass. 2613/1983; Cass. s.u. 182/1999), neppure per ragioni di connessione (Cass. 887/1970; Cass. 1012/1996; contra, Cass. 2912/1976), restando salva l’applicabilità dei criteri di competenza di cui all’art. 637 c.p.c., ove l’avvocato avesse fatto ricorso alla tutela monitoria (Cass. 10293/2002; Cass. 6700/1994), sempre che la lite fosse circoscritta alla liquidazione del compenso e non fosse contestato l’an della pretesa (Cass. 4419/1991). In tal caso, la domanda proposta ai sensi dell’art. 28, L. 794/1942 era reputata inammissibile (Cass. 23344/2008; Cass. 17053/2011, nonché, di recente, Cass. 24089/2018), ovvero, per altre pronunce, l’intera causa doveva esser trattata con il rito ordinario (Cass.17662/2007; Cass. 4419/2001). Restava in ogni caso impregiudicata la possibilità di instaurare un ordinario giudizio di cognizione, invocando i criteri di competenza generali.

1.2. Per l’indirizzo prevalente di questa Corte il carattere funzionale ed inderogabile della competenza ex art. 28, L. 794/1942, pur comportando la necessità di proporre la domanda al capo dell’ufficio giudiziario adito per il processo, non impediva al difensore che avesse svolto il patrocinio in più gradi di instaurare un unico giudizio per ottenere l’intero corrispettivo, nel qual caso il ricorso doveva essere indirizzato all’ufficio che per ultimo avesse trattato il processo, sull’assunto che solo quest’ultimo fosse in condizione di valutare l’opera svolta nella sua globalità e liquidare il compenso in misura adeguata (Cass. 13586/1991; Cass. 6033/1987; Cass.4215/1983; Cass. 3256/1953). Per le prestazioni rese in primo ed in secondo grado, la competenza restava, quindi, radicata dinanzi al giudice d’appello (Cass.4704/1989);L’indirizzo numericamente minoritario ha – per contro – escluso la possibilità di cumulare in un unico giudizio la richiesta del corrispettivo per l’attività svolta in più gradi, ritenendo insuperabile l’ostacolo derivante dall’impossibilità di sottrarre le singole domande, alla competenza inderogabile del capo dell’ufficio adito per il processo in mancanza di una disposizione espressa (Cass. 21/1973 e Cass. 6493/1997). Da tale prospettiva l’unitarietà dell’incarico svolto poteva aver rilievo per la liquidazione degli onorari a carico della parte soccombente ma non per quelli dovuti dal cliente al proprio difensore (Cass.6493/1997).

1.3. L’art. 14, commi primo e secondo, D.LGS 150/2011 prevede attualmente che le controversie previste dall’articolo 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794, e l’opposizione proposta a norma dell’articolo 645 c.p.c. contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto. E’ competente l’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera. Il tribunale decide in composizione collegiale. Ai sensi dell’art. 3 comma primo, D.LGS 150/2001 è esclusa l’applicabilità delle disposizioni di cui agli all’art. 702 ter, commi secondo e terzo, c.p.c., con conseguente impossibilità di disporre il passaggio della causa al rito ordinario ove le difese svolte delle parti richiedano un’istruzione non sommaria. Detta norma è stata ritenuta legittima dalla Corte costituzionale anche per il fatto che la disposizione è sembrato confermasse “l’impossibilità di ricorrere al procedimento speciale nel caso in cui il thema decidendum si estenda a questioni che esulano dalla mera determinazione del compenso” (così, testualmente, Corte cost. 65/2014). All’indomani dell’entrata in vigore del D.LGS. 150/2011, la giurisprudenza di questa Corte ha però prevalentemente riconosciuto (alla luce della preclusione sancita dall’art. 3, comma primo, del citato decreto, che impedisce la trasformazione del rito a prescindere dalla complessità della lite), l’attrazione al rito sommario speciale di tutte le controversie riguardanti il compenso del difensore anche se pertinenti all’an della pretesa, stante l’insindacabilità della scelta del rito applicabile, basata su una verifica, astratta ed irrevocabile, compiuta a monte dal legislatore sulla base delle caratteristiche riscontrate in alcune specie di controversie che hanno ad oggetto determinate specifiche materie (Cass. 4002/2016; Cass.548/2017; Cass. 3993/2017; Cass. 5843/2017; Cass. 12411/2017; Cass. 12847/2017; Cass. s.u. 4485/2018; Cass. 10410/2018; Cass.26778/2018; in senso contrario, Cass. 19873/2015; cfr., inoltre, Cass. 12248/2016 secondo cui il provvedimento che definisce l’an della pretesa è impugnabile in appello appellabile e non è ricorribile in cassazione). Tale soluzione appare confermata – ed ulteriormente sviluppata – dalle Sezioni unite di questa Corte, con sentenza n. 4485/2018, secondo cui: a) il giudizio ex art. 14, D.LGS 150/2011 comprende tutte le questioni concernenti il diritto al compenso, inclusa la contestazione dell’an, specie se introdotte mediante eccezioni o mere difese, inidonee ad ampliare l’oggetto della causa, essendo esclusa qualsivoglia possibilità di dichiarare l’inammissibilità della domanda; b) è preclusa la difensore la possibilità di proporre la domanda in via ordinaria o nelle forme dell’art. 702 bis, dovendo in ogni caso trovare applicazione il rito ex art. 3, D.LGS 150/2011; c) qualora il cliente non si limiti a contestare il diritto al compenso ma introduca una domanda riconvenzionale, se quest’ultima rientra nella competenza del giudice adito ex art. 14, resta sottoposta al rito speciale ove non necessiti di una cognizione non sommaria. In caso contrario, il giudice dovrà disporre la separazione e trattare la sola riconvenzionale con il rito ordinario;d) se la contro-domanda eccede la competenza del giudice ai sensi dell’art. 14, comma secondo, troveranno applicazione le norme sulle modificazioni della competenza per ragioni di connessione, con l’eventuale spostamento dell’intera controversia in applicazione degli artt. 34-36 c.p.c. (salvo che la domanda sia stata proposta con il rito monitorio). Dal complesso delle richiamate argomentazioni emerge – anzitutto – che la competenza del giudice adito per il processo è di natura derogabile in quanto non diversamente qualificata dal legislatore, non potendosi considerare tale neppure per ragioni di carattere funzionale (cfr. sentenza par. 16, pag. 19), e, pertanto, subisce gli effetti della connessione. Inoltre, con specifico riguardo alla proposizione -nello stesso processo – della domanda di compenso per attività svolte dinanzi a più uffici giudiziari (giudice di pace, tribunale e Corte d’appello), le Sezioni unite hanno puntualizzato che il difensore può: a) proporre le domande in cumulo con il rito monitorio ai sensi dell’art. 637, primo comma, c.p.c. e, dunque, davanti al tribunale competente in via ordinaria; b) proporle separatamente davanti all’ufficio di espletamento delle prestazioni, ai sensi del secondo comma della suddetta norma; c) proporle cumulativamente davanti al tribunale del luogo indicato dal terzo comma dell’art. 637 c.p.c., ferma, in tutti i casi, la prevalenza del foro del consumatore (art. 33, comma secondo, lettera u), D.LGS 2006/2005). Tirando le somme, sembrerebbe ammissibile proporre esclusivamente dinanzi al tribunale la domanda volta ad ottenere i compensi per l’attività svolta in più gradi, nonostante il disposto dell’art. 14, comma secondo, D.LGS. 150/2011, “poiché il cumulo di domande può essere introdotto presso il Tribunale anche con il rito monitorio in presenza di un criterio di radicamento ai sensi del primo o del terzo comma dell’art. 637 c.p.c. ed il fatto che “il ricorrente non abbia utilizzato la forma monitoria e, dunque, uno dei due riti introduttivi possibili, non incide sulla possibilità che il detto tribunale possa essere competente, atteso che, se il legale rinuncia ad avvalersi del procedimento monitorio ed introduce la controversia ex art. 28 direttamente con il rito sommario, sebbene non davanti all’ufficio presso il quale le prestazioni sono state espletate, non si può ritenere che il giudice adito non sia competente, qualora la sua competenza fosse sussistita se fosse stato adito con il rito monitorio” (cfr. sentenza pag. 44). Il quadro sistematico e le indicazioni operative che emergono dalla pronuncia inducono, in conclusione, ad interrogarsi:

a) se, nell’attuale quadro normativo, esclusa la possibilità di proporre la domanda in via ordinaria o ai sensi degli artt. 702 bis e ss. c.p.c., resti tuttora impregiudicata la possibilità di chiedere i compensi per attività svolte in più gradi in un unico processo dinanzi al giudice che abbia conosciuto per ultimo della controversia (e- quindi- nello specifico, la Corte di appello di Napoli), dando continuità all’orientamento maggioritario formatosi nel vigore dell’art. 28, L. 794/1942, anche tenendo conto dell’affermata natura non inderogabile della competenza del giudice adito per il processo;

b) se, invece, i criteri di competenza per dette controversie vadano ricercati esclusivamente sulla base del coordinamento tra il secondo comma dell’art. 14, D.LGS 150/2011 e l’art. 637 c.p.c., lasciando al ricorrente la sola alternativa di proporre più domande autonome (per i compensi relativi a ciascun grado di causa) dinanzi ai singoli giudici aditi per il processo o di cumularle dinanzi al tribunale competente ex art. 637 c.p.c. (con salvezza del cd. foro del consumatore), restando in ogni caso esclusa la competenza del giudice che abbia conosciuto per ultimo del processo.

Profilandosi quindi una questione di massima di particolare importanza, ai sensi dell’art. 374 c.p.c. il Collegio ritiene opportuno rimettere gli atti al primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite. P.Q.M. dispone la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite”

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