Gratuito patrocinio e dichiarazione falsa sui redditi

In tema di patrocinio a spese dello Stato, le Sezioni Unite hanno affermato che la falsità o l’incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certificazione prevista dall’art. 79, comma 1, lett. c) d.P.R. n. 115 del 2002, qualora i redditi effettivi non superino il limite di legge, non comporta la revoca dell’ammissione al beneficio, che può essere disposta solo nelle ipotesi espressamente disciplinate dagli artt. 95 e 112 d.P.R. n. 115 del 2002.

Si tratta della sentenza 14723 / 2020 (ud. 19/12/2019 – deposito del 12/05/2020).

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La questione rimessa alle Sezioni Unite può essere così sintetizzata: “se la falsità o incompletezza dell’autocertificazione allegata all’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato ne comporti l’inammissibilità e, dunque, la revoca, in caso di intervenuta ammissione, anche nell’ipotesi in cui i redditi effettivi non superino il limite di legge, ovvero, in tale ultima ipotesi, non incidendo la falsità sull’ammissibilità dell’istanza, la revoca possa invece essere disposta solo nei casi espressamente previsti dalla legge”.

Così la Corte motiva la sua decisione:…….Invero, si è ravvisato uno stretto collegamento tra l’esercizio del potere di revoca del giudice e la verifica delle complessive condizioni reddituali dell’interessato, tale da rendere sufficiente per la revoca d’ufficio anche il solo “quadro riduttivo, distorto e fallace” dichiarato dal richiedente (così, Sez. 4, n. 6416 del 06/12/2011, Fersini). Il principio è stato poi ribadito affermandosi la legittimità della revoca del beneficio disposta dal giudice nell’ipotesi di dichiarazione dell’interessato, circa la propria situazione reddituale, risultata poi mendace all’esito dei controlli e pur nel caso di reddito inferiore al limite previsto per l’ammissione al beneficio (Sez. 4, n. 19611 del 14/03/2012, Napoli). In senso opposto, recentemente, si è sostenuto il principio secondo cui «in tema di patrocinio a spese dello Stato, qualora all’esito delle informazioni richieste alla Guardia di Finanza risultino non veritiere le condizioni reddituali indicate nell’istanza, ai fini della revoca d’ufficio del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato è necessario che il giudice ritenga sussistenti elementi dai quali possa desumersi il superamento dei limiti di reddito previsti dalla legge» (Sez. 4, n. 18945 del 27/03/2019, Naccarella, Rv. 276462). I giudici, premesso che la falsità o l’omessa indicazione anche parziale dei dati previsti nella dichiarazione sostitutiva di certificazione necessaria per l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato integrano il reato di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002, cui consegue la revoca prevista dal comma 2, hanno evidenziato che, tuttavia, il sistema vigente non contempla alcuna automaticità della revoca del patrocinio a spese dello Stato nel caso in cui il reddito non dichiarato non vada ad incidere sulla soglia prevista dalla norma per l’ammissione al beneficio. Si legge, infatti, in motivazione, che, ammesso il richiedente al patrocinio a spese dello Stato, soltanto nel caso in cui, a seguito della verifica dell’esattezza dell’ammontare del reddito attestato e della compatibilità dei dati indicati con le risultanze dell’anagrafe tributaria, risulti che il beneficio è stato erroneamente concesso, l’ufficio finanziario richiederà il provvedimento di revoca, non prevedendo, invece, l’art. 112, alcuna ipotesi di revoca automatica dell’ammissione a fronte di una discrasia tra reddito dichiarato e reddito accertato. In una posizione intermedia si pone Sez. 4, n. 17225 del 08/01/2019, Spada, Rv. 275715, secondo cui ai fini del provvedimento di modifica o revoca d’ufficio del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, è sufficiente che risultino non veritiere le condizioni reddituali indicate nell’istanza e che sussistano presunzioni gravi, precise e concordanti che consentano di ritenere il superamento dei limiti di reddito. Nella specie, avendo il richiedente fornito nella istanza per l’ammissione al beneficio evidenze parziali e non veritiere in ordine alla condizione di possidenza nonché in relazione alla effettiva situazione reddituale propria e del proprio nucleo familiare, la Corte ha ritenuto esente da censure il provvedimento di revoca che aveva ravvisato la sussistenza di molteplici e fondati motivi per ritenere che l’interessato non versasse nelle condizioni di cui agli art. 76 e 92 d.P.R. 115/2002.

3. Per la soluzione della questione va, preliminarmente, richiamato il quadro normativo di riferimento costituito dal d.P.R. n. 115 del 2002. In particolare, l’art. 76 d.P.R. cit. individua le condizioni di accesso al beneficio: la soglia di reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, entro la quale il richiedente può essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato e le ipotesi di deroga; le modalità di calcolo per la sua quantificazione; i casi in cui l’accesso al beneficio è escluso. Il successivo art. 78, intitolato “Istanza per l’ammissione”, stabilisce poi che il soggetto nelle condizioni indicate dall’art. 76 d.P.R. n. 115 del 2002, può fare istanza di gratuito patrocinio in ogni stato e grado del processo. I requisiti che la domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato deve contenere a pena di inammissibilità sono fissati dall’art. 79 del decreto, che fa riferimento: – al numero di procedimento per il quale si chiede l’ammissione; – alle generalità del richiedente e dei componenti la famiglia anagrafica, i cui redditi si cumulano ai fini della determinazione della soglia di reddito dell’istante nei termini indicati dall’art. 92, unitamente ai rispettivi codici fiscali; – alla dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell’interessato attestante la sussistenza delle condizioni di reddito richieste per l’ammissione; – all’impegno a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito, verificatesi nell’anno precedente; – alla sottoscrizione dell’interessato e, limitatamente al cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea, la certificazione dell’autorità consolare, tesa a comprovare la veridicità di quanto dichiarato; – all’allegazione dei documenti, solo in caso di specifica richiesta, a loro volta autocertificati, a riscontro di quanto dichiarato. In questo contesto va inquadrato l’art. 96 d.P.R. n. 115 del 2002, il quale, dopo aver previsto al comma 1 che «verificata l’ammissibilità dell’istanza, il magistrato competente ammette l’interessato al patrocinio a spese dello Stato se, alla stregua della dichiarazione sostitutiva prevista dall’articolo 79, comma 1, lettera c), ricorrono le condizioni di reddito cui l’ammissione al beneficio è subordinata», formulando un giudizio di fondatezza, prevede al comma successivo che il giudice possa respingere l’istanza se ritiene che il reddito effettivo del richiedente sia superiore a quello fissato dalla legge per l’ammissibilità al beneficio, «tenuto conto del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari, e delle attività economiche eventualmente svolte», fatta salva, in ogni caso, la facoltà di trasmettere l’istanza, unitamente alla relativa dichiarazione sostitutiva, alla Guardia di finanza per le necessarie verifiche senza tuttavia doverne attendere, per decidere, l’esito. Quanto alle ipotesi di revoca, viene in primo luogo in rilievo il disposto di cui all’art. 95 che, nel prevedere la fattispecie penale di falsità o omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni previste dall’art. 79, comma 1, lett. b), c) e d), stabilisce che la «condanna importa la revoca con efficacia retroattiva ed il recupero a carico del responsabile delle somme corrisposte dallo Stato». Oltre all’ipotesi di condanna per il reato di cui all’art. 95, il Testo Unico prevede altre ipotesi in cui il giudice, pur in assenza di una condotta illecita dell’istante, può procedere alla revoca del decreto di ammissione al beneficio. L’art. 112, comma 1, d.P.R. n. 115 del 2002, individua i seguenti casi: a) se, nei termini previsti dall’articolo 79, comma 1, lettera d), l’interessato non provvede a comunicare le eventuali variazioni dei limiti di reddito; b) se, a seguito della comunicazione prevista dall’articolo 79, comma 1, lettera d) se, le condizioni di reddito risultano variate in misura tale da escludere l’ammissione; c) se, nei termini previsti dall’articolo 94, comma 3, non sia stata prodotta la certificazione dell’autorità consolare; d) d’ufficio o su richiesta dell’ufficio finanziario competente presentata in ogni momento e, comunque, non oltre cinque anni dalla definizione del processo, se risulta provata la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito di cui agli articoli 76 e 92. L’art. 112, comma 2, prevede poi una ulteriore ipotesi di revoca dell’ammissione alla quale il magistrato può procedere all’esito delle integrazioni richieste ai sensi dell’articolo 96, commi 2 e 3, d.P.R. n. 115 del 2002, qualora vi siano fondati motivi per ritenere che l’interessato non versi nelle condizioni di cui agli articoli 76 e 92, tenuto conto delle risultanze del casellario giudiziale, del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari, e delle attività economiche eventualmente svolte.

4. Tutte le decisioni che ritengono legittima la revoca per il solo fatto che l’istante abbia presentato una dichiarazione non veritiera – come pure il provvedimento impugnato -, fondano il loro convincimento sulla base della sentenza delle Sez. U, n. 6591 del 27/11/2008, Infanti, secondo cui «integrano il delitto di cui al d.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio». Secondo questo orientamento si tratta di una situazione che, rende legittima la revoca del beneficio disposta dal giudice, né può rilevare, a favore dell’interessato, la circostanza che il suo reddito effettivo sia tale da consentire comunque l’ammissione al gratuito patrocinio e che a tale situazione debba intendersi riferita la sua dichiarazione. Tale tesi si basa su un’affermazione delle stesse Sezioni Unite nella citata decisione, secondo cui «la specifica falsità nella dichiarazione sostitutiva (artt. 95 – 79 lett. c) è connessa all’ammissibilità dell’istanza non a quella del beneficio (art. 96/1° co.), perché solo l’istanza ammissibile genera obbligo del magistrato di decidere nel merito, allo stato. L’inganno potenziale, della falsa attestazione di dati necessari per determinare al momento dell’istanza le condizioni di reddito, sussiste quand’anche le alterazioni od omissioni di fatti veri risultino poi ininfluenti per il superamento del limite di reddito, previsto dalla legge per l’ammissione al beneficio. Pertanto falsità delle indicazioni contenute nell’autocertificazione deve ritenersi connessa». Dunque a nulla rileverebbe che il reddito dell’istante sia comunque inferiore al limite reddituale stabilito dalla legge per l’ammissione al beneficio. Mette conto, a riguardo, sottolineare che già prima dell’intervento delle Sezioni Unite appena ricordato, questa Corte si era espressa per la legittimità della revoca del beneficio del patrocinio a spese dello Stato nell’ipotesi di dichiarazione dell’interessato sulla propria situazione reddituale, risultata poi mendace all’esito dei controlli e pur nel caso di reddito inferiore al limite previsto per l’ammissione al beneficio: «nel caso di istanza di ammissione al gratuito patrocinio, la autocertificazione (e le indicazioni allegate) ha valenza probatoria ed il giudice non può entrare nel merito della stessa per valutarne la attendibilità, dovendosi limitare alla verifica dell’ammontare dei redditi esposti» (così, Sez. 1, n. 29006 del 3/06/2003, Musarò, Rv, 225051). In proposito, la Corte ha ulteriormente osservato che ove all’esito delle verifiche da parte dei competenti uffici finanziari l’autocertificazione risultasse menzognera vi sarebbero la revoca del beneficio e le conseguenze penali della operata falsità (Sez. 3, n. 2815 del 15/07/1997, Artico, Rv. 209385). Né, secondo questa impostazione potrebbe rilevare che nell’ultimo periodo dell’art. 95, comma 2, d.P.R. n. 115 del 2002 è prevista la revoca del beneficio a seguito della condanna per il reato di cui alla prima parte del medesimo articolo: si tratta di (ulteriore) conseguenza della condanna, stabilita come obbligatoria dalla legge (unitamente al recupero a carico del responsabile delle somme corrisposte dallo Stato). Infatti, il giudice resterebbe comunque legittimato a disporre prima della condanna – come forma di autotutela – la revoca del beneficio stesso una volta preso atto del mendacio a seguito delle verifiche effettuate dal competente ufficio finanziario. La citata disposizione di cui all’ultimo periodo dell’art. 9, comma 2, d.P.R. n. 115 del 2002, dovrebbe quindi interpretarsi quale norma di chiusura nell’ipotesi che la revoca del beneficio non sia stata già precedentemente disposta dal giudice che aveva ammesso l’interessato al patrocinio a spese dello Stato.

5. Il principio di diritto affermato dalla sentenza Infanti è stato poi confermato — 8 I, da un costante indirizzo giurisprudenziale, che ha ribadito il principio per cui «integrano il delitto di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio», precisandosi altresì che «l’inganno potenziale, della falsa attestazione di dati necessari per determinare al momento dell’istanza le condizioni di reddito, sussiste quand’anche le alterazioni od omissioni di fatti veri risultino poi ininfluenti per il superamento del limite di reddito, considerato anche che il reato in questione è figura speciale del delitto di falso ideologico commesso da privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) e, come quello, ha natura di reato di pura condotta, sicché il relativo perfezionamento prescinde dal conseguimento di un eventuale ingiusto profitto che, anzi, ne costituisce un’aggravante» (Sez. 4, n. 40943 del 18/09/2015 Di Rosa, Rv. 264711).

6. Nella stessa prospettiva è stata dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale – per violazione degli artt. 2, 3, 24 e 27 Cost. – della disposizione di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui prevede la responsabilità penale di colui che dichiari un reddito diverso da quello effettivamente percepito, pur quando quest’ultimo gli avrebbe consentito di essere ammesso al gratuito patrocinio, non essendo tale disposizione censurabile sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto espressione dell’esercizio legittimo e insindacabile del potere legislativo (Sez. 4, n. 18107 del 16/03/2017, Di Pinto, Rv. 269806). A detto principio va tuttavia riconosciuto una portata limitata alla fattispecie penale esaminata. Va a riguardo osservato come non sia rintracciabile nell’ambito del d.P.R. n. 115 del 2002 nessuna norma che preveda espressamente che la non esatta o, addirittura, falsa dichiarazione sulle condizioni di reddito determini l’inammissibilità della domanda o la revoca del decreto di ammissione al beneficio del patrocinio. La falsità o le omissioni sono prese in considerazione esclusivamente dall’art. 95 cit. e dall’art. 125, per il patrocinio civile, che parimenti stabilisce che «chiunque, al fine di ottenere o mantenere l’ammissione al patrocinio, formula l’istanza corredata dalla dichiarazione sostitutiva di certificazione, attestante falsamente la sussistenza o il mantenimento delle condizioni di reddito previste, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 309,87 a euro 1.549,37», con un aumento di pena se dal fatto consegue l’ottenimento o il mantenimento dell’ammissione al patrocinio, con l’analoga previsione che la condanna importa la revoca con efficacia retroattiva e il recupero a carico del responsabile delle somme corrisposte dallo Stato ed estende, al comma 2, l’applicazione delle sanzioni a chiunque, al fine di mantenere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, omette di formulare le comunicazioni di cui all’articolo 79, comma 1, lettera d). Pertanto, tale impostazione argomentativa non può integralmente essere trasferita in tema di revoca del beneficio, revoca che può invece intervenire solo nei casi tassativamente previsti dalla legge.

7. Le Sezioni Unite condividono quindi il secondo degli orientamenti sopra riportati con la conseguenza che le falsità o le omissioni possono comportare la revoca del beneficio solo nei casi di cui all’art. 112 d.P.R. n. 115 del 2002, se risulti provata (o comunque deducibile) la mancanza originaria delle condizioni reddituali ed in caso di condanna per il reato previsto dall’art. 95. Né appare contraddittoria la circostanza che sia possibile revocare il beneficio nei confronti di coloro che omettano la comunicazione di variazioni reddituali (art. 112, lett. a) e mantenerlo nei confronti di coloro che, sin dall’origine, hanno reso dichiarazioni false o incomplete, atteso che l’ obbligo di comunicazione (e le conseguenze della sua inosservanza), è assunto a pena di inammissibilità e discende da un’espressa previsione di legge, restando comunque correlato a variazioni dei limiti di reddito “rilevanti” ai sensi dell’art. 79 lett. d). Sul punto va comunque ricordato e confermato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’omessa comunicazione, anche parziale, delle variazioni reddituali comporta la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nonostante tali variazioni siano occasionali e non comportino il venir meno delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio (Sez. 4, n 43593 del 07/10/2014, De Angelis, Rv. 260308). Si ritiene, difatti, dovuta la comunicazione anche se le variazioni non implichino il superamento delle condizioni per il mantenimento (Sez. 5, n. 13309 del 24/01/2008, Marino, Rv. 239387), dovendosi rendere noti i dati suscettibili di valutazione discrezionale da parte dell’autorità, nell’adempimento di un obbligo di lealtà del singolo verso le istituzioni, la cui violazione comporta la revoca del beneficio. La previsione della revoca ex lege, a seguito di condanna penale (che può per quanto sopra detto intervenire anche in ipotesi di omissioni o falsità non rilevanti) non appare in contrasto con il quadro sopra delineato, in considerazione della circostanza che detta revoca consegue all’accertamento del fatto reato in tutte le sue componenti oggettive e soggettive. In particolare, è stato al riguardo sottolineato che «se è vero che il reato del quale ci si occupa richiede il dolo generico, e quindi la mera consapevolezza e volontà della falsità, senza che assuma rilievo la finalità di conseguire un beneficio che non compete, è pur sempre da tener presente che il dolo generico non può essere considerato in re ipsa ma deve essere rigorosamente provato, dovendosi escludere il reato quando risulti che il falso deriva da una semplice leggerezza ovvero da una negligenza dell’agente, poiché il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo» (Sez. 4, n. 7192 dell’11/01/2018, Zappia, Rv. 272192; inoltre, Sez. 3, n. 30862 del 14/05/2015, Di Stasi, Rv. 264328; Sez. 5, n. 29764 del 03/06/2010, Zago, Rv. 248264). La soluzione adottata è del resto coerente con la ratio dell’istituto del gratuito patrocinio il cui fondamento è costituito dalla tutela del diritto inviolabile alla difesa per la persona sprovvista di mezzi economici: all’indagato, all’imputato o al condannato ammessi al gratuito patrocinio è così attribuita la facoltà di scelta di un proprio difensore di fiducia (iscritto all’albo specifico), senza alcun onere economico, con la possibilità di nominare ed utilizzare la prestazione di consulenti tecnici di parte ed investigatori. Norme fondamentali di riferimento per il legislatore in materia sono da considerarsi l’art. 24 Cost., che sancisce il diritto alla difesa e all’accesso alla giustizia anche per i non abbienti, ma anche l’art. 111 Cost., come novellato nel 1999, che ha conferito al principio dell’equo processo rango costituzionale e, a livello di diritto internazionale, l’art. 6 CEDU, che consacra il diritto all’equo processo nei giudizi civili e penali, e che, secondo l’interpretazione elaborata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo richiede, quale presupposto indefettibile per un effettivo godimento di tale diritto, la garanzia della “parità delle armi”, intesa come possibilità, per ciascuna parte in causa, di stare in giudizio in condizioni che non la costringano a una posizione di sostanziale svantaggio rispetto all’altra; condizione, questa, ritenuta sussistente in ragione della complessità del caso sia dal punto di vista giuridico che fattuale ovvero della difficoltà che la parte abbia a rappresentare i propri interessi, come accade nel caso in cui il diritto interno prescrive di stare in giudizio con il ministero di un difensore. Condizioni che ricalcano sostanzialmente quelle previste dall’art. 14, par. 3, lett. d) del Patto sui diritti civili e politici che si identificano nell’insufficienza dei mezzi economici dell’imputato e nella conformità della concessione del beneficio agli “interessi della giustizia.Deve dunque ritenersi che l’opzione prescelta sia coerente con il sistema dell’istituto, volto a tempestivamente esonerare dalle spese di difesa colui che sia titolare di redditi posti al di sotto della soglia prevista, mentre l’esigenza, recessiva rispetto ai canoni costituzionali e di diritto europeo sopra richiamati, di recuperare le somme corrisposte dallo Stato, a fronte di comportamenti non del tutto trasparenti ed affidabili da parte dell’istante, è soddisfatta dalla previsione della revoca dell’ammissione con effetto retroattivo, in conseguenza dell’intervenuta condanna in sede penale, che non può prescindere dall’accertamento dell’elemento soggettivo. Tale soluzione è del resto anche coerente con la decisione delle Sez. U, n. 36168 del 10/09/2004, Pangallo, Rv, 228666, che nel risolvere il quesito concernente l’esistenza o meno del potere del giudice di revocare d’ufficio – e cioè, in assenza della richiesta dell’Ufficio finanziario – l’ammissione al gratuito patrocinio, anche al di fuori dei casi espressamente previsti dall’art. 112 d.P.R. n. 115 del 2002, ha affermato il principio di diritto secondo cui «il provvedimento di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, previsto dall’art. 112 d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), è adottato di ufficio dal giudice solo nei casi di cd. “revoca formale” indicati dalle lettere a), b) e c) del comma 1, mentre, nel caso di cui alla successiva lettera d), concernente la mancanza originaria o sopravvenuta delle condizioni di reddito stabilite dalla legge, non può essere disposto senza la tempestiva richiesta dell’ufficio», ribadendo in motivazione come non sia possibile per il giudice rivalutare i propri provvedimenti, assoggettati ad appositi rimedi caducatori, se non nei casi e nei limiti previsti dalla legge che individua specificamente le situazioni in cui è data tale facoltà.

8. Va conseguentemente affermato il seguente principio di diritto: “la falsità o l’incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certificazione prevista dall’art. 79, comma 1, lett. c) d.P.R. n. 115 del 2002, qualora i redditi effettivi non superino il limite di legge, non comporta la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che può essere disposta solo nelle ipotesi espressamente disciplinate dagli artt. 95 e 112 d.P.R, n. 115 del 2002”.

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