Sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi: vanno chieste nell’atto di appello.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato che il giudice di secondo grado non può applicare le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi nel caso in cui nell’atto di appello non risulti formulata alcuna specifica richiesta al riguardo.Trattasi della sentenza n. 12872 / 2017 (ud. 19/01/2017 – deposito del 17/03/2017). Sul sito della Corte si può leggere la MOTIVAZIONE  (cliccare su MOTIVAZIONE).
La Terza Sezione penale, con ordinanza in data 8-23 novembre 2016, aveva rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, registrandosi nella giurisprudenza di legittimità orientamenti contrapposti circa l’applicabilità da parte del giudice di secondo grado delle sanzioni sostitutive allorché con l’atto di appello non sia stata devoluta la relativa questione, ma sia stato rimesso il punto relativo al trattamento sanzionatorio, come avvenuto nella specie. Con decreto del 24 novembre 2016 il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite. In data 14 dicembre 2016 il Procuratore generale ha depositato memoria con la quale ha sostenuto la tesi che il giudice di appello possa sostituire la pena detentiva con quella pecuniaria corrispondente purché sia stato devoluto il punto relativo al trattamento sanzionatorio.
La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è la seguente: “Se il giudice di secondo grado possa applicare le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi nel caso in cui nell’atto di appello non risulti formulata alcuna specifica richiesta con riguardo a tale punto”.
Le Sezioni Unite danno una risposta negativa a tale quesito sulla scorta dell’orientamento predominante in giurisprudenza.
Per le Sezioni Unite in primo luogo da escludere che l’art. 597, comma 5, cod. proc. pen. attribuisca al giudice di appello il potere di applicare di ufficio anche le sanzioni sostitutive qualificate come una sorta di minus rispetto alla sospensione condizionale della pena, alla non menzione della condanna, al riconoscimento di circostanze attenuanti e alla correlata formulazione del giudizio di comparazione, di cui è consentita l’applicazione ex officio. La norma citata è di stretta interpretazione costituendo un’eccezione alla regola generale dell’effetto devolutivo fissata dal comma 1 dell’art. 597 cod. proc. pen., secondo il quale «l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti». Eccezione per sua natura inapplicabile oltre i casi in essa considerati, ai sensi dell’art. 14 delle Preleggi.
Neppure varrebbe invocare, osserva la Corte, la portata generale dell’art. 58 della legge n. 689 del 1981, che attribuisce al giudice il potere discrezionale di sostituire la pena detentiva, per pretendere di trarvi la conseguenza che lo stesso potere sia esercitabile anche dal giudice di secondo grado, ostandovi il dato testuale secondo cui quel potere va esercitato «nei limiti fissati dalla legge», il che significa non solo che esso non è esercitabile ex officio in ogni stato e grado, ma anche che incontra un limite nel rispetto dell’ambito della cognizione del giudice di appello segnato dall’effetto devolutivo.
L’evoluzione dell’orientamento minoritario verso la prospettazione della possibilità di ritenere le questioni inerenti all’applicazione delle sanzioni sostitutive incluse nel punto della decisione relativo al trattamento sanzionatorio non è sostenibile. In buona sostanza secondo l’orientamento minoritario, in caso di devoluzione del trattamento sanzionatorio al giudice di appello, questi potrebbe anche, senza violare i vincoli dell’effetto devolutivo, applicare le sanzioni sostitutive, mera variante qualitativa delle pene detentive brevi, ontologicamente prive di specificità ed autonomia. Secondo le Sezioni Unite la valutazione di tale prospettazione deve passare attraverso il richiamo sia alla natura di tali sanzioni, sia al principio di recente scolpito dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli) secondo cui l’appello (come il ricorso per cassazione) è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultino esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici mossi alle ragioni di fatto e di diritto alla base della sentenza impugnata. Secondo le Sezioni Unite merita in primo luogo piena condivisione la tesi della natura di vera e propria pena autonoma delle sanzioni sostitutive, piuttosto che di semplice modalità esecutiva della pena sostituita, sostenuta già in tempi risalenti dalle Sezioni Unite sul rilievo del carattere afflittivo delle prime, della loro convertibilità – in caso di revoca – nella pena sostituita residua, dello stretto collegamento con la fattispecie penale cui conseguono, con la rilevante conseguenza, nel caso allora esaminato, del riconoscimento della natura sostanziale delle disposizioni che le contemplano, soggette, in caso di successione di leggi nel tempo, alla disciplina di cui all’art. 2, terzo comma, cod. pen., che prescrive l’applicazione della norma più favorevole per l’imputato (Sez. U, n. 11397 del 25/10/1995, Siciliano, Rv. 202870).
Questi sono i capisaldi della decisione che sicuramente lascerà strascichi nella giurisprudenza di merito.

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