Il Consiglio di Stato sul principio di alternativita’ tra ricorso giurisdizionale e ricorso straordinario

La Prima Sezione del Consiglio di Stato il 23.10.2019 ha reso il parere n. 2861/2019 in cui ha affrontato il tema del principio di alternativita’ tra ricorso giurisdizionale e quello straordinario. Ecco il link per leggerlo

L’art. 8, secondo comma, del D.P.R. n. 1199 del 1971 dispone che non è ammesso il ricorso straordinario “da parte dello stesso interessato” se “l’atto sia stato impugnato con ricorso giurisdizionale”. Ciò significa che non può essere proposta impugnazione nelle diverse sedi, straordinaria e giurisdizionale, avverso lo stesso provvedimento e, una volta esperito il primo rimedio, non è più consentito accedere al secondo (electa una via non datur recursus ad alteram). La ratio di questo principio va ravvisata nell’esigenza di evitare l’insorgere di contrasti tra le decisioni del Consiglio di Stato in sede consultiva e le sentenze del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, con conseguente sovrapposizione della decisione giurisdizionale alla decisione del ricorso straordinario.

La Sezione ricorda che il principio di alternatività, operando rispetto ad un medesimo atto, in teoria andrebbe escluso nel caso in cui due atti, uno presupposto e uno ad esso connesso, siano l’uno impugnato in sede giurisdizionale e l’altro con ricorso straordinario, o viceversa. Tuttavia – superata la tradizionale lettura restrittiva (sin dall’Adunanza Plenaria, 18 aprile 1969, n. 15) che lo concepiva in senso formale, come operante esclusivamente rispetto ad un medesimo atto impugnabile – la giurisprudenza ha aderito ad una interpretazione in chiave sostanziale che, pur disconoscendo l’applicazione analogica, ha esteso l’operatività dello stesso anche ai casi in cui, pur essendovi atti formalmente distinti, sussiste una connessione sostanziale in termini di pregiudizialità/dipendenza. Pertanto, secondo la giurisprudenza amministrativa, in base al principio di alternatività così inteso, non è consentita la pendenza di un ricorso straordinario e di un ricorso al giudice amministrativo quando, pur essendo diversi gli atti impugnati, la questione è la stessa (in termini analoghi, Cons. Stato, sez. IV, 16 aprile 2012, n. 2185; Cons. St., sez. II, 1 ottobre 2013, n. 4489; Cons. Stato, sez. I, 16 dicembre 2015, n. 211; Cons. Stato, sez. I, 6 marzo 2019, n. 866).

La Sezione dopo aver accolto una interpretazione evolutiva della giurisprudenza amministrativa nel senso di considerare più il rapporto che non l’atto, parte da tale presupposto per risolvere il caso posto alla sua attenzione.

Questa è la parte centrale della motivazione: 4.6. Per meglio sviluppare la nozione appena esposta, risulta necessario interrogarsi sulla relazione esistente tra il concetto di “identità della questione” e quello di “rapporto giuridico tra amministrazione e privato”.

Come è noto, il processo amministrativo, soprattutto con il c.p.a., si è evoluto trasformandosi da giudizio sugli atti a vero e proprio giudizio sul rapporto amministrativo intercorrente tra il privato e la pubblica amministrazione. A giudizio della dottrina, la possibilità per il giudice amministrativo di risarcire il danno, previa valutazione della fondatezza della pretesa azionata, l’istituto processuale dei motivi aggiunti introdotto dalla legge 205/2000, l’articolo 21 octies, comma 2 (che vieta di annullare, a determinate condizioni, un provvedimento che, seppur illegittimo, non poteva avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato) nonché da ultimo l’ampio ventaglio di azioni introdotte dal codice del processo amministrativo, sono tutti elementi sintomatici della trasformazione del processo amministrativo da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto. Per autorevole dottrina, “in una concezione più moderna, più conforme all’ideale dello Stato di diritto e che tiene conto dell’evoluzione subita dall’interesse legittimo…potere amministrativo e interesse legittimo possono essere ricostruiti come i termini dialettici … di una relazione giuridica bilaterale” relazione questa che supera la visione tradizionale in cui lo Stato era visto esclusivamente in una posizione di sovraordinazione istituzionale rispetto ai privati. È chiaro che questa relazione – seguendo lo schema norma-fatto-potere-effetto – si atteggia in modo diverso rispetto a quanto avviene nel diritto privato ma è pur sempre una relazione giuridicamente rilevante. Anche per la giurisprudenza amministrativa il giudizio amministrativo deve essere “volto a scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata” (Cons. Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011, n. 3) poiché “la verifica di legittimità dei provvedimenti amministrativi impugnati non va compiuta nell’astratto interesse generale, ma è finalizzata all’accertamento della fondatezza della pretesa sostanziale fatta valere, ritualmente, dalla parte attrice” (Cons. Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4). Ciò, oltre che per esigenze di economia processuale, anche in considerazione, come detto, di una lenta trasformazione del processo amministrativo da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto.

4.7. Riportando le considerazioni sino a qui espresse al rapporto tra processo amministrativo e ricorso straordinario, va escluso che del medesimo rapporto possano occuparsi contemporaneamente il giudice amministrativo e il Consiglio di Stato in sede di ricorso straordinario. Da tanto consegue che nell’ipotesi in cui l’atto presupposto (a monte) venga impugnato con ricorso straordinario e il successivo atto presupponente (a valle) con ricorso giurisdizionale dinnanzi al giudice amministrativo o viceversa, occorrerà – in applicazione del principio di alternatività – dichiarare inammissibile il giudizio introdotto per ultimo.

Tale conclusione deve reputarsi valida sia nel caso di stretta presupposizione – ossia quando, come detto al paragrafo 4.4., vi è la “necessaria derivazione del secondo dal primo come sua inevitabile ed ineluttabile conseguenza e senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi” – sia nel caso di mera derivazione cui conseguirebbe solo un effetto meramente viziante per l’atto a valle.

Per quest’ultima ipotesi, una visione moderna del principio di alternatività impone di rivolgersi allo stesso organo ogni qual volta si discuta del medesimo rapporto giuridico o quando le censure formulate siano identiche e, come detto, riferibili allo stesso rapporto giuridico tra amministrazione e amministrato. Ragionando diversamente si legittimerebbe il frazionamento della tutela giurisdizionale in contrasto con il principio del giusto processo (art. 111 Cost.) e con il suo corollario dell’economia dei mezzi giuridici; aumenterebbe inoltre il rischio di decisioni contrastanti all’interno dello stesso plesso giurisdizionale con conseguente lesione del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost. e art. 1 c.p.a.).

Da ciò consegue che, nel caso in cui l’atto presupponente sia impugnato con ricorso giurisdizionale, a fronte di un ricorso straordinario già promosso avverso l’atto presupposto, il ricorso giurisdizionale dovrà essere dichiarato inammissibile dal giudice amministrativo. Se invece l’atto successivo è impugnato in sede straordinaria, a fronte di un ricorso giurisdizionale già promosso avverso l’atto presupposto, il ricorso straordinario sarà inammissibile per violazione del principio di alternatività. Tale principio ha già trovato una qualche eco nella giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha sancito l’inammissibilità del ricorso straordinario “a cagione della violazione della regola di “alternatività” che s’impone come limite alla contestuale proponibilità di due distinti ricorsi (amministrativo/straordinario e giurisdizionale) vertenti sulla medesima questione di fatto e di diritto e recanti ad oggetto la medesima pretesa sostanziale (identità della materia del contendere): ricorsi che potrebbero sortire decisioni contrastanti e che la regola dell’ “alternatività” intende, appunto, scongiurare” (Cons. Stato, sez. I, 13 febbraio 2019, n. 548).”

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