Il Consiglio di Stato sui prezzi predatori e sui limiti di sindacabilità degli atti regolatori delle Autorità Indipendenti.

DAL SITO DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

Consiglio di Stato Sez. VI 19.02.2020 n. 1257

Autorità amministrative indipendenti – Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – Comunicazioni elettroniche – Operatori aventi significativo potere di mercato – Prezzi – Obblighi – Possibilità – Ratio – Abuso di posizione dominante – Qualificazione – Margin squueze – Prevenzione.
 
Autorità amministrative indipendenti – Discrezionalità tecnica – Sindacabilità – Limiti.
 
          La normativa del Codice delle comunicazioni elettroniche prevede che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni possa imporre obblighi volti a prevenire la pratica di prezzi predatori da parte degli operatori aventi un “significativo potere di mercato”; tale normativa persegue il primario fine di tutela della concorrenza del mercato e del connesso interesse pubblico all’apertura dello stesso; si tratta, in buona sostanza, di prevenire un abuso di posizione dominante che prende il nome di “margin squeeze”; la compressione dei margini si configura quando il differenziale tra il prezzo dell’input, fornito dall’impresa dominante nel mercato a monte – impresa verticalmente integrata -,e il prezzo dell’output, offerto da quest’ultima sul mercato a valle, risulta essere negativo o insufficiente a coprire i costi di un operatore, attivo nel downstream market, efficiente quanto l’impresa che attua tale condotta; ciò che spinge l’impresa ad effettuare una compressione dei margini è l’intento di escludere le rivali dal mercato a valle, per cui si tratta di un abuso escludente (1).
 
          Il sindacato giurisdizionale, pieno ed effettivo, sugli atti regolatori delle Autorità indipendenti si estende anche all’accertamento dei fatti operato dall’Autorità sulla base di concetti giuridici indeterminati o di regole tecnico-scientifiche opinabili, al fine di evitare che la discrezionalità tecnica trasmodi in arbitrio specialistico, e implica la verifica del rispetto dei limiti dell’opinabile tecnico-scientifico (e, nell’ambito di tali confini, anche del grado di attendibilità dell’analisi economica e delle valutazioni tecniche compiute, alla stregua dei criteri della ragionevolezza e della proporzionalità), attraverso gli strumenti processuali a tal fine ritenuti idonei (ad. es., consulenza tecnica d’ufficio, verificazione, ecc.); tale sindacato non può, tuttavia, spingersi fino al punto di sostituire le valutazioni discrezionali dell’Amministrazione.

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1) In termini generali, ha ricordato la Sezione che le misure limitative della concorrenza, date dal regolatore, si giustificano in presenza di un operatore dominante o meglio che detenga un significativo potere di mercato.
Si interviene ex ante, indirizzando i comportamenti delle imprese che operano in questi settori con obblighi positivi specifici. E’ possibile che, in un determinato settore, la concorrenza non consenta il perseguimento di interessi meritevoli di tutela. In tal caso, si può intervenire regolamentando il settore e andando a limitare la concorrenza in nome di tali interessi. Non v’è alcuna contraddizione, tuttavia, fra regolazione ex ante e tutela della concorrenza.
Le Corti europee hanno più volte confermato il principio di applicabilità delle regole di concorrenza anche in presenza di specifiche regolazioni settoriali e il Tribunale stesso, in relazione al caso Telefònica, ha affermato che “le norme in materia di concorrenza previste dal trattato CE completano ,per effetto di un esercizio di controllo ex-post, il contesto normativo adottato dal legislatore dell’Unione ai fini della regolamentazione ex-ante dei mercati delle Telecomunicazioni”.
Tali misure, nella specie, come si vedrà si concretizzano nel test di replicabilità delle offerte.
In tale contesto, con delibera n. 623/15/CONS contenente l’analisi del mercato, l’Autorità ha evidenziato, in particolare, che Telecom Italia è ancora “l’unico operatore verticalmente integrato lungo tutta la catena tecnologica e impiantistica a livello nazionale” mentre gli operatori alternativi (cc.dd. “OLO”), quale è la ricorrente, da un lato “devono rispettare i vincoli imposti da Telecom Italia nell’acquisto dei servizi intermedi, dall’altro si trovano a competere con quest’ultima nel mercato a valle”.
Quindi, la stessa Autorità ha espressamente sancito, al comma 7 dell’art. 11 (rubricato Obblighi di non discriminazione), che “tutte le offerte di Telecom Italia di servizi di accesso al dettaglio (inclusi i bundle) devono essere replicabili da parte di un operatore efficiente e, pertanto, sono sottoposte ad un test di replicabilità, in modalità ex ante ossia prima del lancio commerciale, da parte dell’Autorità”.
L’art. 65 della medesima delibera (Replicabilità dei servizi al dettaglio di accesso alla rete fissa) ha poi precisato che “In attuazione dell’obbligo di non discriminazione di cui all’art. 11 nonché dell’obbligo di controllo dei prezzi di cui all’art. 13, tutte le offerte di Telecom Italia di servizi di accesso al dettaglio – sia per effettuare e/o ricevere chiamate telefoniche ed accedere ai servizi correlati sia per accedere ai servizi di trasmissione dati a banda larga – offerti su rete in rame e su rete in fibra, commercializzati singolarmente o in bundle con altri servizi – incluse le promozioni – devono essere replicabili da parte di un operatore efficiente. L’Autorità effettua la verifica della replicabilità economica e tecnica delle offerte di cui al comma precedente mediante i test definiti ai sensi della delibera n. 499/10/CONS e successive integrazioni, salvo quanto stabilito in merito alle gare per pubblici appalti ed alle procedure ad evidenza pubblica per la selezione del fornitore di cui all’articolo seguente”, inoltre fissa le modalità di espletamento delle verifica “de qua”, prescrivendo, tra l’altro, che essa avvenga mediante i test di cui alla delibera n. 499/2010 (doc. 5 ric.) e successive modificazioni ed integrazioni.
Quest’ultima delibera del 2010 è stata integrata dalla delibera n. 604/13 per quanto concerne l’applicabilità dei medesimi test di prezzo anche ai servizi a banda ultralarga su fibra ottica e, ancor prima, dalla Circolare applicativa, datata 8 luglio 2011 espressamente dedicata alle modalità applicative della delibera n. 499 cit.
 
Per quanto riguarda in dettaglio le analisi necessarie ai predetti fini di verifica, in particolare, nella stessa delibera n. 499/2010 si legge (par. 1.4, pag. 50, doc. 5 ric.) che le analisi multiperiodali possono essere effettuate sia analizzando (mediante il test c.d. “Period by Period”) ciascun periodo della “permanenza media del cliente nell’offerta”, sia analizzando unicamente il risultato a fine periodo (c.d. analisi “DCF”).
Quest’ultima analisi è più appropriata per la valutazione di offerte mediante le quali si realizzino investimenti fissi “ad hoc” da recuperare in un determinato intervallo temporale, il che corrisponde alla logica economica secondo cui il ritorno degli investimenti non si realizza in un unico periodo, ma nel corso della vita utile dell’investimento effettuato.
Quindi andrebbero valutati secondo il criterio DCF, in vista della verifica del risultato alla fine del “multi-periodo” considerato, gli investimenti e i relativi ammortamenti; al riguardo l’Autorità, nella delibera n. 499 ha mostrato di ritenere congruo un arco temporale di 24 mesi per i servizi in rame, fatte salve future modifiche di esso ove ritenute più congrue (in effetti per le offerte in fibra il periodo di osservazione è stato successivamente esteso a 36 mesi).
Viceversa i costi variabili dovrebbero essere recuperati in ciascun singolo periodo, su base annuale (o sulla base della durata minima contrattuale dell’offerta) e, pertanto a questa verifica meglio si adatta il test “Period by Period” (PbP) che consente di verificare che in ciascun singolo periodo (e non solo “alla fine” dell’arco temporale totale dell’investimento considerato) vengano coperti tutti i costi variabili relativi all’offerta (inclusi i costi “W” relativi ai fattori produttivi di rete essenziali, vedi pagg. 47 e pag. 50 delibera n. 499). “Al fine di garantire una corretta valutazione delle offerte, che tenga conto delle logiche economiche e di sviluppo del mercato, l’Autorità …(ha ritenuto) opportuno integrare l’utilizzo di entrambi i metodi di valutazione” (pag. 50 delibera ult. cit.).
Alla suddetta regola generale – secondo la quale la verifica di replicabilità si deve svolgere attraverso entrambi i metodi di analisi sopra citati – fanno eccezione alcune rilevanti fattispecie che lo stesso Regolatore, già a partire dalla delibera n. 499/10 ha ritenuto di sottrarre alla verifica “PdP”. Due di esse sono direttamente contemplate dalla delibera in commento che esclude dalla sottoposizione al test PbP: i) le offerte formulate in occasione di procedure ad evidenza pubblica per la selezione del fornitore, a cui si applicano criteri “ad hoc”; ii) le offerte c.d. “entry level” cioè finalizzate allo sviluppo del mercato, considerata la necessità di specifici investimenti destinati a tale sviluppo, da assoggettare al solo test DCF.
Con la Circolare del 8 luglio 2011, l’Autorità ha successivamente dettato le modalità attuative della delibera 499/10 e, per quanto di interesse nella specie, ha delineato ulteriori fattispecie da assimilare all’ipotesi di offerta “new entry” ai fini dell’esonero dall’analisi di tipo PdP (in deroga alla regola generale della doppia verifica): il par. 6, punto 27 della Circolare nominata individua tali fattispecie nelle “…offerte promozionali che presentano un impatto limitato sulle dinamiche competitive nei mercati al dettaglio. In tale categoria rientrano, a titolo di esempio, le promozioni commercializzate in modalità c.d. rush, ossia per intervalli di tempo particolarmente ridotti e/o attraverso alcuni specifici e limitati canali di acquisizione (ad esempio mediante il solo canale web)”.
L’assoggettamento di queste tipologie di promozioni al solo test DCF è stato ribadito dalla successiva delibera AGCOM n. 604/13 (in tema di offerte “ultrabroadband” in fibra) che espressamente menziona anche le offerte “limited edition” caratterizzate dal fatto che l’operatore prevede un numero massimo di acquisizioni nel periodo di commercializzazione, di limitato impatto percentuale rispetto al totale delle attivazioni dell’offerta nel periodo considerato.
 
 
(2) Ha ricordato la Sezione che se è vero che in generale sussiste la sindacabilità della discrezionalità tecnica delle determinazioni delle cc.dd. Autorità indipendenti, è altrettanto vero che sia inibito al Giudice imporre verifiche tecniche diverse da quelle previste dal vigente quadro regolatorio.
 
Infatti, sebbene il sindacato giurisdizionale, pieno ed effettivo, sugli atti regolatori delle Autorità indipendenti si estenda anche all’accertamento dei fatti operato dall’Autorità sulla base di concetti giuridici indeterminati o di regole tecnico-scientifiche opinabili (al fine di evitare che la discrezionalità tecnica trasmodi in arbitrio specialistico; v. sul punto, ex plurimis, Cons. St., sez. III, 25 marzo 2013, n. 1645), e implichi la verifica del rispetto dei limiti dell’opinabile tecnico-scientifico (e, nell’ambito di tali confini, anche del grado di attendibilità dell’analisi economica e delle valutazioni tecniche compiute, alla stregua dei criteri della ragionevolezza e della proporzionalità), attraverso gli strumenti processuali a tal fine ritenuti idonei (ad. es., consulenza tecnica d’ufficio, verificazione, ecc.), tale sindacato non può, tuttavia, spingersi fino al punto di sostituire le valutazioni discrezionali dell’Amministrazione, come avvenuto nel caso di specie, peraltro sulla base di una motivazione apodittica non supportata da specifici riferimenti normativi ed adeguati elementi istruttori (Cons. St., sez. VI, 25 settembre 2017, n. 4460).

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