Contratti bancari e forma scritta


La Prima Sezione Civile della Cassazione ha trasmesso gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, della questione, ritenuta di massima di particolare importanza, relativa al se, ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998, il requisito della forma scritta del contratto di investimento esiga, accanto a quella dell’investitore, anche la sottoscrizione “ad substantiam” dell’intermediario.

Trattasi dell’ordinanza interlocutoria n. 10447 del 27.04.2017. Sul sito della Cassazione la MOTIVAZIONE (clicca qui per accedervi)

Il primo motivo del ricorso pone la questione se, a norma dell’art. 23 d.lgs. n. 58/1998, la sottoscrizione della banca sia necessaria ad substantiam anch’essa – accanto a quella dell’investitore – al fine della valida conclusione del contratto di gestione su base individualizzata di portafogli di investimento, che trova la sua fonte normativa nell’art. 24 d.lgs. n. 58 del 1998 (ma identico dubbio interpretativo sorge in casi analoghi, ovvero in tutti i contratti di prestazione di servizi di investimento, ai sensi dell’art. 23 cit., e nei contratti bancari, ai sensi dell’art. 117 d.lgs. 24 settembre 1993, n. 385). La questione sopra riassunta si pone in quanto, secondo la prassi del settore bancario, la conclusione del contratto-quadro si attua, al fine di rispettare i requisiti della forma e della consegna dello stesso al cliente, con la sottoscrizione di quest’ultimo del contratto, che resta in possesso della banca, seguìta dalla consegna al cliente di un altro documento identico al primo, stavolta a firma dell’istituto di credito: in tal modo, allo scambio documentale segue la disponibilità, in capo a ciascuna parte, dell’originale sottoscritto dall’altra.

In ordine al quadro normativo di riferimento, l’art. 23 d.lgs. n. 58 del 1998 prevede che «i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento […] sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti [..] Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo»; aggiunge il terzo comma che «la nullità può essere fatta valere solo dal cliente». L’art. 6, lett. c), della legge 2 gennaio 1991, n. 1, prevedeva già il medesimo requisito di forma per la stipulazione del contratto-quadro di investimento (al riguardo, cfr. Cass. 19 maggio 2005, n. 10598; 9 gennaio 2004, n. 111; 7 settembre 2001, n. 11495). Dal suo canto, l’art. 30, comma 1, reg. Consob n. 11522 del 1998 prevedeva che gli intermediari non potessero «fornire i propri servizi se non sulla base di un apposito contratto scritto» e che «una copia di tale contratto è consegnata all’investitore». Ora, l’art. 37 del reg. Consob n. 16190 del 2007, sostitutivo del precedente a sua volta prevede che gli intermediari «forniscono a clienti al dettaglio i propri servizi di investimento, diversi dalla consulenza in materia di investimenti, sulla base di un apposito contratto scritto; una copia di tale contratto è consegnata al cliente», nonché specifici requisiti di contenuto.

Per quanto riguarda la sottoscrizione del cliente, la Corte ha già condivisibilmente affermato che la mancanza del «contratto d’investimento (c. d. contratto-quadro) sottoscritto [dai coniugi]» determina «la nullità delle operazioni d’investimento successivamente compiute dalla banca, stante la previsione dell’art. 23 del tuf (d.lgs. n. 58 del 1998); e se tali operazioni sono da considerarsi nulle, per difetto di un indispensabile requisito di forma richiesto dalla legge a protezione dell’investitore, è evidentemente da escludere che se ne possa predicare la ratifica tacita. Quando il legislatore richiede la forma scritta per meglio tutelare una delle parti del contratto, sarebbe manifestamente contraddittorio ammettere che quel difetto di forma sia rimediabile mediante atti privi anch’essi di forma scritta» (così Cass. 22 marzo 2013, n. 7283, in motivazione, vicenda in cui i clienti avevano efficacemente disconosciuto le sottoscrizioni apposte in calce al contratto-quadro; nello stesso senso, Cass. 22 dicembre 2011, n. 28432). In relazione alla previsione in discorso, specificamente dettata per i contratti finanziari – laddove il comune regime codicistico dei contratti avrebbe lasciato libertà di forma – la menzionata decisione, come altre analoghe, ha dunque sottolineato che è indispensabile la sottoscrizione ad opera del cliente al contratto-quadro, essendo il requisito di forma posto a protezione esclusiva del medesimo, e che la mancanza della sua sottoscrizione non può essere superata con l’omessa contestazione dei rendiconti periodici.Ancora, si è ribadito come il contratto-quadro, che disciplina lo svolgimento del rapporto volto alla prestazione del servizio di negoziazione di strumenti finanziari, va redatto per iscritto a pena di nullità, deducibile solo dal cliente, secondo la prescrizione dell’art. 23 d.lgs. n. 58 del 1998 (Cass. 31 dicembre 2013, n. 28810); che, parimenti, il contratto di gestione di portafoglio di investimento stipulato con un intermediario finanziario deve essere redatto per iscritto a pena di nullità, forma scritta prevista dalla legge a protezione dell’investitore, la quale non ammette equipollenti o ratifiche (Cass. 24 febbraio 2016, n. 3623), cosicché non è idonea ad integrare il requisito formale la sottoscrizione del documento sui rischi generali, di cui all’art. 28 reg. Consob n. 11522 del 1998, il quale assolve unicamente ad una funzione strumentale e propedeutica alla stipulazione del contratto di gestione e serve a rendere l’investitore più consapevole rispetto ai rischi dell’investimento e del mandato gestorio conferito all’intermediario (Cass. 19 febbraio 2014, n. 3889, fattispecie in cui la banca aveva consegnato al cliente un modulo contrattuale di gestione del patrimonio mobiliare affinché fosse sottoscritto e restituito, ma ciò non era avvenuto).

Quanto al profilo riguardante la sottoscrizione anche della banca, ovvero la questione specifica in esame, recenti decisioni di questa Sezione, hanno affermato i seguenti principi di diritto: a) l’art. 23 cit. impone una forma bilaterale ad substantiam; b) la produzione in giudizio, da parte della banca, del contratto-quadro da essa non sottoscritto non è idoneo equipollente della sua sottoscrizione. Tanto si legge nelle più recenti decisioni della Corte (v. Cass. 24 marzo 2016, n. 5919 e 11 aprile 2016, n. 7068, assunte alle udienze del 9 e 10 febbraio 2016; nello stesso senso, anche Cass. 27 aprile 2016, n. 8395, 27 aprile 2016, n. 8396, 19 maggio 2016, n. 10331 e 3 gennaio 2017, n. 36). Orbene, si può senz’altro convenire, con le citate decisioni, su quest’ultima affermazione: ed invero, ove la norma richiedesse la forma scritta bilaterale ad substantiam, non sarebbe possibile ritenere soddisfatto il requisito per equipollente mediante la produzione del documento non firmato in giudizio, o mediante altri comportamenti concludenti posti in essere dalla banca e documentati per iscritto. Invero, questa tesi (affermata dalla meno recente Cass. 22 marzo 2012, n. 4564) non regge, perché il costante principio, secondo cui la mancata sottoscrizione di una scrittura privata è supplita dalla produzione in giudizio del documento stesso da parte del contraente non firmatario che ne intende avvalersene (fra le tante, Cass. 5 giugno 2014, n. 12711; 17 ottobre 2006, n. 22223; 5 giugno 2003, n. 8983) comporterebbe comunque – nelle vicende come quella in esame – il perfezionamento ex nunc del contratto-quadro: che, dunque, non varrebbe a rendere validi ordini di acquisto di strumenti finanziari precedentemente impartiti; né si dà convalida del contratto nullo, per l’art. 1423 cod. civ.). Sotto questo profilo, dunque, le decisioni sopra ricordate vanno senz’altro condivise.
L’affermazione sub a), relativa alla necessità della sottoscrizione dell’intermediario, a fini di validità del contratto di investimento, richiede, invece, qualche ulteriore riflessione. La giurisprudenza di merito e la dottrina non risolvono, infatti, univocamente il punto controverso se, per la validità del contratto concluso con la banca, sia necessaria anche la sottoscrizione della medesima, pur quando comunque sussista la firma del cliente. Invero, accanto ad orientamenti conformi a quello di recente accolto dalla S.C., diverse sono le conclusioni di quella parte degli interpreti che – movendo dalla ratio della norma, finalizzata alla protezione del contraente debole e alla valorizzazione delle esigenze di chiarezza e di trasparenza informativa – escludono, invece, per la validità del contratto la necessità della sottoscrizione della banca, laddove risulti la predisposizione da parte della stessa e la firma del cliente.

Da tempo, la dottrina ha convincentemente chiarito, nell’ambito della più generale teorica della forma, che non tutte le prescrizioni di forma sono uguali. Se la forma ad substantiam, nella sua solennità propria degli scambi immobiliari tipici dell’economia fondiaria, funge, nell’ambito dei rapporti paritari, da criterio d’imputazione della dichiarazione, oltre che servire a favorire – a tutela di entrambi contraenti – i “beni” della chiarezza nei contenuti, della ponderazione per l’impegno assunto e della serietà dell’accordo, nonché a distinguere le mere trattative dall’atto definitivo, occorre poi pur riflettere sul fatto che, invece, laddove le parti non si trovino su di un piano di parità perché si ravvisa una “parte debole” del rapporto, a scongiurare il rischio della insufficiente riflessione o dell’approfittamento ad opera dell’altro contraente interviene, allora, la forma, o formalità “di protezione”: il cui fine precipuo è proprio quello di proteggere lo specifico interesse del contraente “debole” a comprendere ed essere puntualmente e compiutamente informato su tutti gli aspetti della vicenda contrattuale. Onde si discorre di “forma informativa”, ponendosi l’accento sui caratteri che valgono piuttosto a differenziarla dalle regole tradizionali delle patologie civilistiche del negozio. Proprio con riferimento ai nuovi fenomeni contrattuali, derivanti dallo sviluppo dei mercati – nel trascorrere da un’economia rurale alle dinamiche del mercato finanziario e digitale – si parla, invero, di un ritorno al “formalismo negoziale”, o “neoformalismo”, cui sempre più il legislatore sembra far ricorso (e non solo per l’atto, ma più genericamente per l’attività): stavolta a tutela, tuttavia, non di entrambi i contraenti posti su di un piano di parità, ma specificamente di uno di essi, all’evidenza reputato “debole” (sebbene, poi, in una visione macroeconomica, non si possa trascurare che detta tutela, eliminando o riducendo le inefficienze derivate dagli abusi delle imprese, giovi ancora alla sicurezza dei traffici dei capitali e degli investimenti, la quale trae com’è noto benefici dal buon funzionamento del mercato finanziario e dalla prevedibilità delle condotte dei suoi operatori). Peraltro, il “ritorno al formalismo”, con i relativi costi transattivi, si giustifica solo ove il contratto sia davvero “asimmetrico” e sussista l’esigenza di protezione in ragione della rischiosità del negozio stesso: onde, ad esempio, la forma scritta non è prevista per il contratto di mera consulenza finanziaria.La nullità che ne deriva, a sua volta, persegue prettamente finalità di protezione del contraente debole, nel cui interesse essa viene conformata come invalidità relativa (cfr. pure art. 117 d.lgs. n. 385 del 1993; art. 36 d.lgs. 206 del 2005). La nullità di protezione è, nel contempo, strumento di governo degli scambi e mezzo di tutela degli interessi di una delle parti del contratto rispetto a situazioni di “irrazionalità” – la quale, nei contratti di investimento o in generale del mercato finanziario, viene identificata con la disinformazione – che ne compromettono la libertà di scelta. Al fine di comprendere la realtà economica e giuridica descritta, la visuale del formalismo negoziale rigidamente “di struttura” è stata ritenuta inadeguata, lasciando il campo a quella “di funzione”. Se tale nullità, dunque, è funzionale in primis alla tutela della più ampia informazione dell’investitore (sebbene permanga il ricordato interesse generale all’efficienza del mercato del credito), tanto da presentare rilevanti differenze di disciplina rispetto alla nullità del codice civile, tutte le prescrizioni da essa presidiate vanno intese in tale logica: la quale deve guidare, dunque, anche la valutazione sul punto se il cliente sarebbe pregiudicato, nella sua completa e consapevole autodeterminazione, dalla mancanza di firma della banca sul contratto-quadro. Si noti che il contratto ben potrebbe contenere anche condizioni individuali, concordate con il singolo cliente: così come sarà consentito che, nell’esercizio della propria autonomia negoziale, sia richiesta dall’investitore all’intermediario una specifica approvazione scritta del contratto.
In particolare, la previsione formale dell’art. 23 d.lgs. n. 58 del 1998 è dettata a fini esclusivi di tutela dell’investitore: e ciò, invero, riconoscono anche tutte le recenti sentenze di questa Corte, sopra menzionate (§ 5). Può parlarsi, in definitiva, di cd. forma di protezione: la quale, al pari della cd. nullità di protezione, cui la violazione della stessa conduce, è volta specificamente a portare all’attenzione dell’investitore – la parte “debole” del rapporto (non per ragioni socio-economiche, ma) in quanto sprovvisto delle informazioni professionali sul titolo e, più in generale, sugli andamenti del mercato finanziario – l’importanza del negozio che si accinge a compiere e tutte le clausole del medesimo. La prescrizione formale trova la sua ratio nel fine di assicurare la piena e corretta trasmissione delle informazioni al cliente, nell’obiettivo della raccolta di un consenso consapevole alla stipula del contratto (il consenso informato). Per tale ragione, la nullità di protezione può essere fatta valere solo dal cliente, oltre che rilevata d’ufficio dal giudice, sempre nell’esclusivo interesse e vantaggio del primo. Come la nullità di protezione palesa caratteri affatto speciali – sopra tutte, appunto, la facoltà di farla valere solo da parte del contraente a cui favore è dettata, con l’eventualità, quindi, di una sanatoria “di fatto” del negozio (come non ha mancato di rilevare già la Corte di giustizia dell’Unione europea, sent. 4 giugno 2009, C-243/08, Pannon, punti 31 e 32, secondo cui il giudice deve non applicare una clausola abusiva, salvo che il consumatore vi si opponga; nonché Corte di giustizia dell’Unione europea, 14 giugno 2012, C-618/10, Banco Espahol de Crédito SA, punti 42 e 43; onde non convincono del tutto alcuni tentativi degli interpreti di ricondurre la categoria della nullità speciale ad unità con il regime generale) – allo stesso modo la forma ivi prevista non è la stessa prescritta dall’art. 1350 cod. civ. per i contratti immobiliari ad equilibrio simmetrico. Al riguardo, si è constatato come l’ordinamento europeo non mostri di ritenere rilevante una forma scritta per i contratti bancari e finanziari, sottintendendo che gli obiettivi della normativa di trasparenza – funzione preminente del vincolo formale in tale ambito – possano essere raggiunti anche con altri strumenti, quali i supporti cartacei o le bozze del documento. Si vedano, in tal senso, la direttiva 2007/64/CE sui servizi di pagamento nel mercato interno, attuata con il d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, che ha introdotto nel t.u.b. il Capo II-bis sui “Servizi di pagamento” (art. 126-bis- 126-octies) e la direttiva 2008/48/CE, relativa ai contratti di credito ai consumatori, recepita dal d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, che ha modificato il capo I sulle disposizioni generali in tema di operazioni bancarie ed il capo II del t.u.b. sul “Credito ai consumatori”, dalle quali si traggono indicazioni piuttosto nel senso di una riduzione del peso assegnato al formalismo negoziale. 9. – Secondo una prima tesi, dunque, potrebbe reputarsi adempiere al requisito della forma scritta, prevista a pena di nullità dall’art. 23 cit., la sottoscrizione, da parte del cliente, del modulo contrattuale contenente il contratto-quadro. La cd. forma informativa sarebbe quindi rispettata, perché soddisfatto è l’interesse alla conoscenza ed alla trasparenza, o scopo informativo, cui essa è preordinata. L’altra parte del rapporto, ovvero l’intermediario finanziario, è il soggetto predisponente le condizioni generali di contratto, cui l’investitore aderisce: intermediario per il quale nessuna di dette esigenze si rinviene. Di qui, il rilievo che la sottoscrizione della banca, a differenza di quella dell’investitore, non occorra, affinché il contratto sia perfetto: l’una volontà deve essere manifestata per iscritto ad substantiam, l’altra in ogni forma consentita dall’ordinamento. La predisposizione del modulo ad opera della banca potrebbe dirsi rendere non più necessaria, cioè, l’ulteriore formale approvazione del predisponente: considerato che l’adeguata ponderazione e la rispondenza dell’accordo ai propri interessi è stata già valutata con la redazione del documento medesimo, nonché la sua approvazione ad opera delle autorità indipendenti cui è demandata la vigilanza del settore; e, soprattutto, non è la banca il soggetto a cui tutela il requisito formale è posto. La sottoscrizione da parte del delegato dell’istituto di credito non sembra perseguire, infatti, i fini sottesi alla disposizione; anzi, esigere tale firma pare porsi in senso contrario al dinamismo nella conclusione dei contratti finanziari (tenuto conto che, di regola, il funzionario bancario che lo cura non ha poteri di rappresentanza), e, dunque, all’efficienza dei mercati, cui in definitiva anche le nullità di protezione mirano. Né la carenza della sottoscrizione da parte dell’intermediario potrebbe reputarsi legittimare lo stesso a sottrarsi alle regole sancite dal negozio: perché la nullità di protezione può farsi valere solo dal cliente. Onde pure la forma di protezione solo la firma del medesimo esige. Il consenso della banca, pur necessario trattandosi di un contratto, potrebbe dunque rivestire anche altre forme di manifestazione della volontà: di cui talune – quali la predisposizione del testo contrattuale, la raccolta della sottoscrizione del cliente, la consegna del documento negoziale o l’esecuzione del contratto medesimo ex art. 1327 cod. civ. – a valere quali comportamenti concludenti, idonei a rivelare, anche in via presuntiva, l’esistenza dell’originario consenso. La firma (del funzionario) della banca non sarebbe dunque certo preclusa, ma resterebbe irrilevante per il perfezionamento e per l’efficacia del negozio; sarebbe parimenti irrilevante che il contratto fosse stato richiesto dal cliente, o provenisse direttamente dall’intermediario.

Occorre ancora considerare come la medesima esigenza di protezione sia sottesa alla distinta previsione, contenuta nell’art. 23, comma 1, d.lgs. n. 58 del 1998, dell’obbligo di consegnare una copia del contratto al cliente, o, come si esprime la disposizione, «un esemplare»: anche tale previsione va interpretata, dunque, in una prospettiva di tutela dell’investitore, il quale, ove non fosse in possesso di un modello del contratto da lui sottoscritto, potrebbe non riuscire a conoscere in pieno la sua posizione soggettiva verso la banca. Fattispecie simili sono contemplate in altre disposizioni: oltre all’art. 117 d.lgs. n. 385 del 1993, si ricorda l’art. 35 d.lgs. 206 del 2005, secondo cui, quando alcune clausole del contratto siano proposte al consumatore per iscritto, esse «devono sempre essere redatte in modo chiaro e comprensibile»; per l’art. 50 d.lgs. 206 del 2005, al consumatore vanno fornite le dovute informazioni «su supporto cartaceo o, se il consumatore è d’accordo, su un altro mezzo durevole. Dette informazioni devono essere leggibili e presentate in un linguaggio semplice e comprensibile»; sempre per l’art. 50, comma 2, d.lgs. n. 206 del 2005, il professionista «fornisce al consumatore una copia del contratto firmato o la conferma del contratto su supporto cartaceo o, se il consumatore è d’accordo, su un altro mezzo durevole»; per l’art. 67-undecies d.lgs. n. 206 del 2005, nei contratti finanziari a distanza il fornitore comunica al consumatore tutte le condizioni contrattuali e le necessarie informazioni «su supporto cartaceo o su un altro supporto durevole, disponibile e accessibile per il consumatore in tempo utile», prima della stipula; analoga disposizione, in tema di multiproprietà, reca l’art. 71 d.lgs. n. 206 cit.; parimenti, l’art. 124 d.lgs. n. 385 del 1993, come modificato nel 2010, prevede tra gli obblighi precontrattuali che siano fornite informazioni sul contratto di credito «su supporto cartaceo o su altro supporto durevole attraverso il modulo contenente le “Informazioni europee di base sul credito ai consumatori”» e, su richiesta, «è fornita gratuitamente copia della bozza del contratto di credito». Insomma, requisiti “formali” come strumento non solo di manifestazione della volontà, ma di trasmissione di informazioni, dati e notizie sull’operazione. Peraltro, qui si esclude che si tratti di obbligo di forma in senso tecnico, trattandosi di mero supporto per l’immagazzinamento dei dati” e di comportamenti imposti relativi alla documentazione (che, nell’ultima ipotesi indicata, sono richiesti espressamente prima del formarsi del vincolo, secondo una ratío che potrebbe essere estesa anche all’art. 23 d.lgs. n. 58 del 1998: ed, infatti, in entrambe le fattispecie si tratta di offrire informazioni e trasparenza al cliente, perché sia rispettata la sua libertà di autodeterminazione nelle scelte negoziali). Dalla previsione dell’obbligo di consegna di un esemplare del documento negoziale, di cui all’art. 23, comma 1, d.lgs. n. 58 del 1998 e 30 Reg. Consob n. 11522 del 1998 (ora, art. 37 del Reg. Consob n. 16190 del 2007), non è dato poi trarre elementi in contrario, con riguardo al tema in discorso, nel senso della necessaria sottoscrizione della banca: si apprezza, invero, al riguardo la differenza con le diverse indicazioni degli art. 1742 e 1888 cod. civ. sulla forma scritta ad probationem nei contratti di agenzia e di assicurazione, ove ciascuna parte «ha diritto di ottenere dall’altra un documento dalla stessa sottoscritto» e l’assicuratore «è obbligato a rilasciare al contraente la polizza di assicurazione o altro documento da lui sottoscritto». Si è parlato così di “pluralismo di formalismi”, in dipendenza delle diverse funzioni ad essi assegnate dall’ordinamento e delle conseguenze che ne derivano (solo in taluni limitati casi afferenti l’idoneità dell’atto di autonomia privata a produrre effetti), sovente di legislazione speciale o di provenienza comunitaria.
Secondo la tesi che si va esponendo, la conclusione della irrilevanza della firma della banca deriva pure dalla necessità, nel rispetto della ratio della norma, di evitare una lettura dell’art. 23 cit. affatto disfunzionale ed inefficiente per il mercato finanziario, anche a fini di prevenzione di un facile uso opportunistico dello strumento formale. Come potrebbe avvenire, alla stregua di quanto nella pratica non di rado è dato riscontrare, qualora il contratto sia, dapprima, a lungo e fruttuosamente eseguito con vantaggio per il cliente, il quale, a fronte di una perdita marginale successiva, si risolva ad impugnarlo per nullità, in ragione della mancata sottoscrizione della banca, senza che a quel punto – ove si segua la tesi della natura ad substantiam della sottoscrizione dell’intermediario medesimo – possa rilevare l’avvenuta proficua esecuzione del contratto, ove pure protratta per molti anni con reciproca soddisfazione delle parti. Si offrirebbe, così, tutela a quel contraente che, maliziosamente abusando di una posizione di vantaggio conferita dalla legge ad altri fini, deducesse la nullità del contratto pur eseguito senza contestazioni da entrambe le parti. Si aggiunga altresì che, qualora la banca avesse sottoscritto la sua copia e consegnato la stessa al cliente, conservando la copia firmata da quest’ultimo, sarebbe non difficile, per il cliente scorretto, non produrre comunque in giudizio detto esemplare in suo possesso e negare sia mai stato firmato: si apprezza qui la differenza “sociologica” con la nullità della tradizione codicistica, tipica dei contratti aventi ad oggetto beni immobili, di cui all’art. 1350 cod. civ., dove la prassi appena descritta viene posta in essere nella realtà degli affari proprio sul presupposto – secondo l’id quod plerumque accidit – di un interesse dell’altro contraente a dedurre non la nullità, ma, al contrario, l’esistenza e la validità del contratto, chiedendone l’esecuzione. Per tali ragioni, non lascia soddisfatti l’esplicita affermazione dell’attribuzione all’investitore della facoltà di far valere la nullità del contratto-quadro solo rispetto ad alcuni ordini, in quanto l’investitore potrebbe selezionare il rilievo della nullità e rivolgerlo ai soli acquisti che desideri caducare, ma non ad altri, pur attuativi del medesimo contratto quadro (v. Cass. 27 aprile 2016, n. 8395): ossia, il cd. uso selettivo della nullità del contratto-quadro, in quanto rivolta esclusivamente a produrre effetti nei confronti di alcuni acquisti di prodotti finanziari, soluzione che potrebbe avallare senz’altro l’uso abusivo del diritto, da altre decisioni di questa S.C. tuttavia ampiamente stigmatizzato (e multis: Cass. 13 settembre 2016, n. 17968, sulle assenze dal lavoro; 5 aprile 2016, n. 6533, sull’iscrizione di ipoteca; 21 ottobre 2015, n. 21318, sull’azione risarcitoria extracontrattuale; 12 giugno 2015, n. 12263, sul contratto di fideiussione e mancato tempestivo adempimento imputabile; 15 ottobre 2012, n. 17642, ancora in tema di fideiussione; accanto a tutta la giurisprudenza tributaria in tema), o, se si vuole, la condotta contraria a buona fede, secolare portato di civiltà giuridica ex art. 1375 cod. civ..

Per l’opposta ricostruzione, secondo cui anche la sottoscrizione della banca è requisito di forma ad substantiam, deve porsi la questione se, avendo la nullità effetti ex tunc, a sua volta la banca sia legittimata o no a ripetere quanto versato a favore del cliente; o se, a fronte di un uso “selettivo” della nullità, l’intermediario possa eccepire la violazione della buona fede contrattuale, e con quali conseguenze. Ancora, occorrerà domandarsi se sia ipotizzabile la convalida del contratto nullo, proprio per essere la nullità di tipo relativo, onde in ciò debba ravvisarsi uno di quei casi in cui la legge “dispone diversamente”, ai sensi dell’art. 1423 cod. civ. Secondo la tesi che reputa la forma scritta prevista ad substantiam anche quanto alla sottoscrizione del funzionario bancario, infatti, dovrebbe vagliarsi la possibilità giuridica se, così come l’investitore può opporsi alla declaratoria di nullità (come ribadito dalle citate Cass., sez. un., n. 26242 e n. 26243), specularmente egli possa già provvedere, consapevole di quella nullità, a convalidare il contratto mediante i comportamenti concretamente tenuti.

In conclusione, il Collegio ha reputato opportuno rimettere la causa al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite, ai sensi dell’art. 374, 3^ comma, cod. proc. civ., costituendo questione di massima di particolare importanza se, a norma dell’art 23 d.lgs 58/1998 requisito della forma scritta del contratto di investimento esiga, accanto a quella dell’investitore, anche la sottoscrizione ad substantiam dell’intermediario.

Share

Permalink link a questo articolo: https://www.studiodipietro.it/contratti-bancari-e-forma-scritta/