Dichiarazione fallimento e impugnazioni relative al concordato.

Importante pronuncia della Cassazione Civile, la n. 9146 del 10.04.2017. Sul sito della Corte la MOTIVAZIONE
Le Sezioni Unite, decidendo la corrispondente questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che la sopravvenuta dichiarazione del fallimento comporta l’inammissibilità delle impugnazioni autonomamente proponibili contro il diniego di omologazione del concordato preventivo e, comunque, l’improcedibilità del separato giudizio di omologazione in corso, perché l’eventuale procedimento di reclamo ex art. 18 l.fall. assorbe l’intera controversia relativa alla crisi dell’impresa, mentre il giudicato sul fallimento preclude, in ogni caso, il concordato.

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La nuova legge sulla responsabilità medica.

Sulla Gazzetta Ufficiale S.G. n. 64 del 17 marzo 2017 è stata pubblicata la la L. 8 marzo 2017 n. 24, recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie“. La legge è entrata in vigore il 1 aprile 2017, ma per alcuni aspetti dovranno essere emanati dei decreti attuativi, ad esempio in tema dei requisiti delle polizze assicurative di cui si dovranno obbligatoriamente dotare le strutture sanitarie e i medici.Dal punto di vista civilistico la legge supera il regime di responsabilità contrattuale c.d. da contatto sociale del medico ospedaliero, dato che l’art 7 colloca tale responsabilità nell’ambito di quella extra-contrattuale.
Si prevede un “doppio binario” di responsabilità:
· contrattuale ex art. 1218 c.c. delle strutture sanitarie e sociosanitarie (pubbliche e private);
· extra-contrattuale ex art. 2043 c.c. per l’esercente la professione sanitaria che svolge la propria attività nell’ambito di una struttura (pubblica o privata o in rapporto convenzionale con il Servizio Sanitario Nazionale).
Ne consegue che nel primo caso la prescrizione è decennale e l’onore probatorio sarà assolto provando il titolo e l’inadempimento; nel secondo caso la prescrizione è di cinque anni e l’attore deve provare tutti gli elementi dell’illecito aquiliano (condotta o omissione – nesso causalità – danno – dolo o colpa).
La nuova normativa, che è stata ispirata dallo scopo di evitare il proliferare del contenzioso sanitario pur senza pregiudicare i diritti dei pazienti danneggiati, distingue la posizione delle strutture sanitarie e sociosanitarie da quella dell’esercente la professione sanitaria e cerca di trasferire il rischio sul soggetto maggiormente capiente, valorizzando al contempo la socializzazione del rischio con la previsione della obbligatorietà delle polizze assicurative e dell’azione diretta verso la compagnia assicuratrice che garantisce le strutture sanitarie o sociosanitarie. Ciò avvantaggia sia l’esercente la professione sanitaria che risarcirà solo i danni effettivamente provati dal danneggiato, sia il paziente che è invogliato ad agire nei confronti del soggetto maggiormente in grado di garantire il risarcimento per quantificare il quale si farà applicazione del codice delle assicurazioni private (artt. 138-139).
Al fine di limitare il contenzioso la legge prevede un filtro perché il danneggiato deve prima di azionare l’azione giudiziaria di risarcimento deve obbligatoriamente avanzare un ricorso perconsulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c. oppure esperire il procedimento di mediazione ai sensi dell’art. 5 comma 1 bis D.lgs. n. 28/2010. La domanda giudiziale diviene procedibile solo se la conciliazione non riesce o il relativo procedimento non si conclude entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso. La partecipazione al procedimento di consulenza tecnica preventiva è obbligatoria per tutte le parti, comprese le imprese di assicurazione; in difetto, il giudice, con la sentenza che definisce il giudizio, condanna le parti che non vi hanno partecipato al pagamento delle spese di consulenza e di lite – a prescindere dall’esito del giudizio -, oltre che ad un’ulteriore somma, a titolo di “pena pecuniaria” da determinarsi equitativamente, in favore della parte che è comparsa alla conciliazione.
Come sopra accennato la legge introduce l’obbligo di dotarsi di polizza assicurativa per la responsabilità civile in capo alle strutture sanitarie (pubbliche o private che siano) ed agli esercenti la professione sanitarie: le prime per la responsabilità contrattuale verso terzi e verso i prestatori d’opera, anche per i danni cagionati dal personale che opera a qualsiasi titolo presso le strutture medesime e per la responsabilità extracontrattuale verso terzi degli esercenti le professioni sanitarie ed i secondi per i rischi derivanti dalla propria attività laddove operino fuori le strutture o operino dentro le stesse in regime libero professionale o comunque si avvalgano della struttura a per adempiere l’obbligazione contrattuale direttamente assunta con un paziente.
In base all ‘art 12 il danneggiato ha possibilità di azione diretta nei confronti dell’impresa di assicurazione della struttura sanitaria e dell’esercente la professione sanitaria. Ciò sarà possibile solo dopo l’emanazione dei decreti attuativi che regoleranno i requisiti delle polizze.
Ecco il link alla Gazzetta Ufficiale per scaricare la Legge 8 marzo 2017 n. 24

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Art. 342 c.p.c.: le Sezioni Unite si pronunceranno sulla specificità dei motivi di appello.

La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione con ordinanza interlocutoria n. 8845 del 5 aprile 2017 ha deciso di rimettere alle Sezioni Unite una questione che, oggetto di diverse interpretazioni giurisprudenziali, non ha finora visto una precisa presa di posizione da parte delle Sezioni Unite.

La questione è la seguente: quale sia l’ambito della nozione di specificità dei motivi di appello, ora prevista a pena di inammissibilità dal testo dell’art. 342 cod. proc. civ. – di cui all’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 154 – (e dell’omologo art. 434 cod. proc. civ. per il rito del lavoro) ned in particolare se essa imponga all’appellante un onere di specificazione di un diverso contenuto della sentenza di primo grado, se non perfino un progetto alternativo di sentenza o di motivazione, o non piuttosto soltanto una compiuta contestazione di bene identificati capi della sentenza impugnata e dei passaggi argomentativi, in fatto o in diritto, che la sorreggono, con la prospettazione chiara ed univoca della diversa decisione che ne conseguirebbe sulla base di bene evidenziate ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice. 

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Rapporto tra art. 2368 c.c. e art 190 TUF

L’art. 2368 c.c. e l’art. 190 TUF puniscono entrambi, il primo sotto il profilo penale, il secondo sotto l’aspetto amministrativo, la medesima condotta, consistente nella trasmissione alla CONSOB di una relazione, dal contenuto non veritiero, inerente verifiche di conformità sul collocamento di un prestito obbligazionario, con conseguente applicazione della sola disciplina penale, ex art. 9, comma 1, della l. n. 689 del 1981.

Lo afferma la Cassazione Seconda Sezione Civile con sentenza n. 8855 del 05/04/2017. Sul sito della Corte la MOTIVAZIONE.

La Corte ritiene che: 1) la disposizione penale dell’art. 2638 c.c. e la disposizione sanzionatrice amministrativa di cui all’art. 190, in relazione all’art. 10 TUF, puniscono entrambe lo stesso fatto, nella specie costituito dalla condotta consistente nella trasmissione all’autorità di vigilanza di una relazione inerente verifiche di conformità sul collocamento di un prestito obbligazionario, con la quale si esponevano fatti materiali non rispondenti al vero; 2) peraltro, la generale violazione delle prerogative spettanti all’autorità di vigilanza nell’espletamento dell’attività ispettiva rimane del tutto compresa nella disposizione speciale penale che persegue l’ostacolo all’esercizio delle funzioni stesse di vigilanza; 3) ne consegue che, agli effetti dell’art. 9, comma 1, legge n. 689/1981, deve trovare applicazione la sola disposizione speciale di cui all’art. 2638 c.c. 

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Relata di notifica a mezzo PEC non firmata e nullità

La Corte di Cassazione con sentenza 6518/2017 del 14 marzo 2017 ha  rigettato “l’eccepita inammissibilità del ricorso per cassazione in ragione della nullità della notificazione eseguita a mezzo PEC dal difensore del ricorrente, perché la relata sarebbe un documento privo della firma digitale (a differenza del ricorso e della procura, a cui quella sarebbe stata apposta), essendo stato tale documento diretto inequivocabilmente dalla casella PEC dell’avvocato del ricorrente a quella del difensore avversario, senza che abbia limitato i diritti difensivi della parte ricevente. Infatti, questa Corte ha stabilito che il difetto della firma non è causa di inesistenza dell’atto, ed ha anzi affermato la surrogabilità di quella prescrizione attraverso altri elementi capaci di far individuare l’esecutore dell’atto (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10272 del 2015, secondo cui, “in tema di notificazione L. 21 gennaio 1994, n. 53, ex art. 4, qualora nella relata manchino le generalità e la sottoscrizione dell’avvocato notificante, la sua identificazione, necessaria al fine di verificare la sussistenza dei requisiti soggettivi indispensabili, può avvenire” anche aliunde ……[omissis] Orbene, nella specie, la notificazione affidata a mezzo PEC la mancata forma digitale della relata non lascia alcun dubbio sulla riconducibilità alla persona dell’avv. [omissis], attraverso la sua indicazione e l’accostamento di quel nominativo alla persona munita ritualmente della procura speciale.”

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I luoghi di privata dimora ex art. 624 bis c.p.

 

Dinanzi alle Sezioni Unite Penali della Cassazione è arrivato il seguente quesito: “Se rientra nella nozione di privata dimora, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 624-bis cod. pen., il luogo dove si esercita un’attività commerciale o imprenditoriale (nella specie, ristorante)”.

La Suprema Corte ha dato  risposta negativa, salvo che il fatto non sia avvenuto all’interno di un’area riservata alla sfera privata della persona offesa. Rientrano nella nozione di privata dimora di cui all’art. 624-bis cod. pen. esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare (ricorso n. 18100/2016 udienza 23.3.2017).

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Ristrutturazione edilizia ed art. 1669 c.c.

Le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, componendo il relativo contrasto, hanno stabilito che l’art. 1669 c.c. è applicabile, ricorrendone tutte le altre condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo.

La sentenza è  la n. 7756 del 27/03/2017. Sul sito della Corte si può leggere la MOTIVAZIONE 

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Relazione dell’Ufficio del Massimario della Cassazione sul NE BIS IN IDEM

Sul sito della Corte di Cassazione é stata pubblicata il 21 marzo 2017 la Rel. n. 26/17 a cura dell’UFFICIO DEL MASSIMARIO PENALE
La relazione ha per oggetto “NE BIS IN IDEM –  PERCORSI INTERPRETATIVI E RECENTI APPRODI DELLA GIURISPRUDENZA NAZIONALE ED EUROPEA”

Ecco il lavoro nella sua integralità

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Autorizzazione paesaggistica: interventi esclusi o sottoposto a procedura semplificata.

È stato pubblicato il DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 13 febbraio 2017, n. 31 Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata.

 (GU Serie Generale n.68 del 22-3-2017)

Link al sito della Gazzetta Ufficiale

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Sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi: vanno chieste nell’atto di appello.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato che il giudice di secondo grado non può applicare le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi nel caso in cui nell’atto di appello non risulti formulata alcuna specifica richiesta al riguardo.Trattasi della sentenza n. 12872 / 2017 (ud. 19/01/2017 – deposito del 17/03/2017). Sul sito della Corte si può leggere la MOTIVAZIONE  (cliccare su MOTIVAZIONE).
La Terza Sezione penale, con ordinanza in data 8-23 novembre 2016, aveva rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, registrandosi nella giurisprudenza di legittimità orientamenti contrapposti circa l’applicabilità da parte del giudice di secondo grado delle sanzioni sostitutive allorché con l’atto di appello non sia stata devoluta la relativa questione, ma sia stato rimesso il punto relativo al trattamento sanzionatorio, come avvenuto nella specie. Con decreto del 24 novembre 2016 il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite. In data 14 dicembre 2016 il Procuratore generale ha depositato memoria con la quale ha sostenuto la tesi che il giudice di appello possa sostituire la pena detentiva con quella pecuniaria corrispondente purché sia stato devoluto il punto relativo al trattamento sanzionatorio.
La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è la seguente: “Se il giudice di secondo grado possa applicare le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi nel caso in cui nell’atto di appello non risulti formulata alcuna specifica richiesta con riguardo a tale punto”.
Le Sezioni Unite danno una risposta negativa a tale quesito sulla scorta dell’orientamento predominante in giurisprudenza.
Per le Sezioni Unite in primo luogo da escludere che l’art. 597, comma 5, cod. proc. pen. attribuisca al giudice di appello il potere di applicare di ufficio anche le sanzioni sostitutive qualificate come una sorta di minus rispetto alla sospensione condizionale della pena, alla non menzione della condanna, al riconoscimento di circostanze attenuanti e alla correlata formulazione del giudizio di comparazione, di cui è consentita l’applicazione ex officio. La norma citata è di stretta interpretazione costituendo un’eccezione alla regola generale dell’effetto devolutivo fissata dal comma 1 dell’art. 597 cod. proc. pen., secondo il quale «l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti». Eccezione per sua natura inapplicabile oltre i casi in essa considerati, ai sensi dell’art. 14 delle Preleggi.
Neppure varrebbe invocare, osserva la Corte, la portata generale dell’art. 58 della legge n. 689 del 1981, che attribuisce al giudice il potere discrezionale di sostituire la pena detentiva, per pretendere di trarvi la conseguenza che lo stesso potere sia esercitabile anche dal giudice di secondo grado, ostandovi il dato testuale secondo cui quel potere va esercitato «nei limiti fissati dalla legge», il che significa non solo che esso non è esercitabile ex officio in ogni stato e grado, ma anche che incontra un limite nel rispetto dell’ambito della cognizione del giudice di appello segnato dall’effetto devolutivo.
L’evoluzione dell’orientamento minoritario verso la prospettazione della possibilità di ritenere le questioni inerenti all’applicazione delle sanzioni sostitutive incluse nel punto della decisione relativo al trattamento sanzionatorio non è sostenibile. In buona sostanza secondo l’orientamento minoritario, in caso di devoluzione del trattamento sanzionatorio al giudice di appello, questi potrebbe anche, senza violare i vincoli dell’effetto devolutivo, applicare le sanzioni sostitutive, mera variante qualitativa delle pene detentive brevi, ontologicamente prive di specificità ed autonomia. Secondo le Sezioni Unite la valutazione di tale prospettazione deve passare attraverso il richiamo sia alla natura di tali sanzioni, sia al principio di recente scolpito dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli) secondo cui l’appello (come il ricorso per cassazione) è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultino esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici mossi alle ragioni di fatto e di diritto alla base della sentenza impugnata. Secondo le Sezioni Unite merita in primo luogo piena condivisione la tesi della natura di vera e propria pena autonoma delle sanzioni sostitutive, piuttosto che di semplice modalità esecutiva della pena sostituita, sostenuta già in tempi risalenti dalle Sezioni Unite sul rilievo del carattere afflittivo delle prime, della loro convertibilità – in caso di revoca – nella pena sostituita residua, dello stretto collegamento con la fattispecie penale cui conseguono, con la rilevante conseguenza, nel caso allora esaminato, del riconoscimento della natura sostanziale delle disposizioni che le contemplano, soggette, in caso di successione di leggi nel tempo, alla disciplina di cui all’art. 2, terzo comma, cod. pen., che prescrive l’applicazione della norma più favorevole per l’imputato (Sez. U, n. 11397 del 25/10/1995, Siciliano, Rv. 202870).
Questi sono i capisaldi della decisione che sicuramente lascerà strascichi nella giurisprudenza di merito.

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Misure di prevenzione patrimoniale nei confronti degli eredi

Con sentenza depositata il 16 marzo 2017, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, hanno affermato i seguenti principi in tema di misure di prevenzione patrimoniale nei confronti degli eredi e dei successori di persona deceduta:- le nozioni di erede e di successore a titolo universale o particolare, di cui all’art. 18, commi 2 e 3, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, sono quelle proprie del codice civile;- nell’ipotesi in cui l’azione di prevenzione patrimoniale prosegua ovvero sia esercitata dopo la morte del soggetto socialmente pericoloso, la confisca può avere ad oggetto non solo i beni pervenuti a titolo di successione ereditaria, ma anche i beni che, al momento del decesso, erano comunque nella disponibilità del de cuius per essere stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi;

– nell’ipotesi in cui il giudice accerti la fittizietà dell’intestazione o del trasferimento di beni a terzi, la declaratoria di nullità prevista dall’art. 26, comma 1, d.lgs. n. 159 del 2011 non è pregiudiziale ai fini della validità della confisca, ma costituisce un obbligo consequenziale all’accertamento della fittizietà, la cui inosservanza da parte del giudice non integra vizi rilevanti ai sensi degli artt. 177 ss. cod. proc. pen., bensì un’omissione rimediabile, anche d’ufficio, con la procedura ex art. 130 cod. proc. pen.; – le presunzioni di fittizietà previste dall’art. 26, comma 2, d.lgs. cit. si riferiscono esclusivamente agli atti realizzati dal soggetto portatore di pericolosità e non riguardano anche gli atti dei suoi successori.

È la Sentenza n. 12621 /2017 (ud. 22/12/2016 – deposito del 16/03/2017).

Sul sito della Corte la MOTIVAZIONE

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Art. 157, comma 8 bis, cpp: notifica nulla se vi era elezione di domicilio

Il codice di procedura penale all’art. 157 e precisamente al comma 8 bis (comma che è stato inserito ex art. 2, del D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, conv. con l. 22 aprile 2005, n. 60.) prevede: “8-bis. Le notificazioni successive sono eseguite, in caso di nomina di difensore di fiducia ai sensi dell’articolo 96, mediante consegna ai difensori. Il difensore può dichiarare immediatamente all’autorità che procede di non accettare la notificazione. Per le modalità della notificazione si applicano anche le disposizioni previste dall’articolo 148, comma 2-bis “,

La Sesta Sezione della Corte di Cassazione Penale con sentenza n. 11954/2017 ( ud. 15/02/2017 – deposito del 13/03/2017)  ha affermato che è nulla la notifica del decreto di citazione eseguita, ex art. 157, comma otto bis, cod. proc. pen., presso il difensore di fiducia nel caso in cui l’imputato abbia ritualmente dichiarato domicilio.

Ecco la motivazione sul sito della Corte: MOTIVAZIONE

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