Interruzione del processo per fallimento e termine per la riassunzione

La Prima Sezione civile della Cassazione con ordinanza interlocutoria n. 2723 del 30/01/2019 ha enunciato, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., il seguente principio di diritto: “in caso di interruzione automatica del processo determinata dalla dichiarazione di fallimento di una delle parti, il termine per la riassunzione di cui all’art. 305 c.p.c. decorre dalla dichiarazione o notificazione dell’evento interruttivo secondo la previsione dell’art. 300 c.p.c., ovvero, se anteriore, dalla conoscenza legale di detto evento procurata dal curatore del fallimento alle parti interessate”.

Nel caso trattato il processo si era interrotto a seguito della dichiarazione in udienza del fallimento del suo assistito da parte dell’avvocato. Effettuata la riassunzione ad iniziativa della controparte la Corte d’appello, pronunciando nel contraddittorio con il Fallimento, ha con sentenza dichiarato estinto il giudizio con compensazione di spese. Ha in particolare ritenuto la Corte territoriale, accogliendo l’eccezione del Fallimento, che il termine per la riassunzione del giudizio interrotto dovesse essere computato a far data non già dalla dichiarazione dell’evento interruttivo in udienza, bensì da una precedente lettera del 26 novembre 2014, inviata a mezzo pec al difensore dell’appellante, con la quale il Curatore aveva comunicato l’intervenuto fallimento, sicché, movendo da tale data, il ricorso per riassunzione risultava depositato dopo la scadenza del termine semestrale, ratione temporis applicabile, previsto dall’articolo 305 c.p.c..

La Cassazione interessata del problema e ben consapevole dei notevoli risvolti applicativi svolge il seguente ragionamento.

L’articolo 43 della legge fallimentare stabilisce al primo comma che: «Nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore», ed al terzo comma, inserito dall’articolo 41 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, che: «L’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo». Già prima dell’introduzione del citato terzo comma non si dubitava, sulla base del primo comma della stessa disposizione, che il fallimento determinasse la perdita di capacità processuale del fallito e dunque l’interruzione del processo del quale fosse parte l’imprenditore poi assoggettato al fallimento, ma si riteneva che l’effetto interruttivo in tanto si producesse, in quanto l’evento fosse dichiarato o notificato secondo la previsione dell’articolo 300 c.p.c.: si affermava, dunque, che l’inizio della procedura fallimentare non produce effetti interruttivi automatici sui processi in corso in cui il fallito sia parte, atteso che la perdita della capacità processuale a seguito di dichiarazione di fallimento non si sottrae alla disciplina di cui all’articolo 300 c.p.c., che prevede, a tal fine, la necessità della dichiarazione in giudizio o notificazione dell’evento (per l’unanime orientamento della giurisprudenza in tal senso v. p. es. Cass. 18 marzo 1989, n. 1368; Cass. 14 gennaio 1993, n. 398; Cass. 9 febbraio 1993, n. 1588; Cass. 20 giugno 2000, n. 8363; Cass. 22 giugno 2001, n. 8530; Cass. 6 luglio 2001, n. 9164; Cass. 10 maggio 2002, n. 6771).Viceversa, per effetto del terzo comma dell’articolo 43 citato, la dichiarazione di fallimento produce automaticamente l’effetto interruttivo nei processi in corso (p. es. Cass. 28 dicembre 2016, n. 27165; Cass., Sez. Un., 20 marzo 2008, n. 7443, in motivazione; da ult. Cass. 18 aprile 2018, n. 9578). La ratio della previsione è chiaramente indicata dalla relazione ministeriale di accompagnamento al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, ove è detto che «in sintonia al criterio di delega secondo cui occorre accelerare le procedure applicabili alle controversie in materia fallimentare, si dispone che l’apertura del fallimento determina l’interruzione di diritto del processo evitando così che lo stesso possa essere interrotto a distanza di tempo qualora le parti informino formalmente il giudice ex articolo 300 c.p.c.». La creazione di una nuova ipotesi di interruzione automatica, operante cioè indipendentemente dalla dichiarazione o notificazione dell’evento interruttivo ai sensi dell’articolo 300 c.p.c., ha comportato la riproposizione della questione dell’individuazione del termine a quo per la riassunzione, a fronte della permanente formulazione dell’articolo 305 c.p.c., secondo cui: «Il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di tre mesi dall’interruzione, altrimenti si estingue»: ed ha parimenti rinnovato l’esigenza, ben nota da oltre mezzo secolo (v. già Corte cost. n. 139 del 1967), di individuare strumenti utili ad evitare il verificarsi del fenomeno della c.d. estinzione «misteriosa», determinata dall’inerzia della parte che, in conseguenza dell’automatismo dell’interruzione, non abbia riassunto per non aver avuto consapevolezza — o per non essere stata posta in condizione di avere consapevolezza — dell’interruzione prodottasi ipso iure in dipendenza del verificarsi dell’evento interruttivo.Basterà al riguardo rammentare la decisione della Corte costituzionale (Corte cost. 21 gennaio 2010, n. 17) che, richiamando le proprie pertinenti pronunce sulla materia, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 305 c.p.c. nella parte in cui farebbe decorrere il termine per la riassunzione del processo ad opera di parte diversa da quella dichiarata fallita dalla data dell’interruzione del processo per intervenuta dichiarazione di apertura di fallimento, e non dalla data di effettiva conoscenza dell’evento interruttivo: nella pronuncia si evidenzia come sia da tempo acquisito il principio, accolto dalla giurisprudenza di questa Corte, per cui, nei casi di interruzione automatica del processo, il termine per la riassunzione decorre non già dal giorno in cui l’evento interruttivo è accaduto, bensì dal giorno in cui esso è venuto a conoscenza della parte interessata alla riassunzione medesima. L’indirizzo così riassunto si specifica, nella giurisprudenza della S.C., nel principio secondo cui la conoscenza che innesca il decorso del termine per la riassunzione, ai sensi dell’art. 305 c.p.c., è la «conoscenza legale», non occorrendo viceversa la conoscenza effettiva (a fronte della dichiarazione in udienza dell’intervenuto fallimento da parte del difensore del fallito, ad esempio, il decorso del termine non è certo impedito dalla circostanza che la controparte abbia disertato l’udienza), mentre, per converso, viene esclusa, ai fini del decorso del termine per la riassunzione, la sufficienza della «conoscenza aliunde acquisita» (così, p. es., Cass. 23 novembre 2012, n. 20744; Cass. 11 febbraio 2010, n. 3085). Secondo l’orientamento della Corte, in particolare, la «conoscenza legale» in capo alla parte non colpita dall’evento interruttivo — intendendosi con ciò non già la parte personalmente, ma il suo difensore, come tale tecnicamente preparato ad intendere il rilievo del verificarsi dell’interruzione ed eventualmente ad adottare le misure per la tempestiva riattivazione del processo —, contrapposta alla conoscenza di mero fatto, ricorre in presenza di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa del menzionato evento, assistita da fede privilegiata (Cass. 28 dicembre 2016, n. 27165; Cass. 25 febbraio 2015, n. 3782; Cass. 7 marzo 2013, n. 5650; Cass. 11 febbraio 2010, n. 3085). La nozione di «conoscenza legale», intesa in tal senso — ossia come dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell’evento interruttivo, assistita da fede privilegiata —, si spiega e si giustifica con l’esigenza che la verifica della (possibilità della) conoscenza del decorso termine per la riassunzione sia ancorata a criteri quanto più possibile sicuri ed oggettivi, così da neutralizzare, per quanto possibile, l’elemento di criticità operativa derivante dall’avere il giudice delle leggi disancorato il termine per la riassunzione dal verificarsi dell’interruzione, così rendendolo mobile e variabile. Per i fini della «conoscenza legale», tuttavia, non è richiesto che essa provenga esclusivamente dal difensore della parte nei cui confronti si è verificato l’evento interruttivo. Questi è il dominus della scelta se avvalersi o non dell’interruzione nei casi in cui essa non operi automaticamente, giacché la disciplina dell’interruzione del processo risponde alla necessità di garantire l’effettività del contraddittorio e di consentire alla parte colpita dall’evento interruttivo «di difendersi in giudizio usufruendo di tutti i poteri e facoltà che la legge le riconosce» (Corte cost. 18 marzo 2005, n. 109): viceversa, nel caso dell’interruzione automatica prodotta dalla dichiarazione di fallimento, dunque indipendentemente dalla volontà del difensore della parte fallita, non ha né base normativa, né risponde all’esigenza che ha determinato l’impiego, nella materia, della nozione di «conoscenza legale», l’assunto della ricorrente secondo cui solo la dichiarazione proveniente dal difensore di detta parte determinerebbe il decorso del termine per la riassunzione. D’altronde, ciò che occorre ai fini dell’esercizio del diritto di difesa della parte non colpita dall’evento interruttivo è la conoscenza dell’evento, mentre, una volta che essa ne sia stata edotta, non rileva né punto né poco quale sia la fonte. Sicché è ben possibile che detta conoscenza sia offerta alla controparte non dal difensore della parte colpita dall’evento interruttivo, ma anche da soggetti diversi e, per quanto qui rileva, dal curatore fallimentare. Ed infatti, questa Corte ha già avuto modo dì stabilire che la conoscenza legale dell’intervenuto fallimento è in linea di principio integrata dalla comunicazione via fax della sentenza che lo ha dichiarato, effettuata a cura di cancelleria al creditore istante che abbia partecipato alla fase prefallimentare e che sia parte del giudizio colpito da interruzione (Cass. 15 marzo 2018, n. 6398, la quale ha poi ovviamente escluso che nel caso di specie il termine per la riassunzione fosse decorso da tale comunicazione, giacché effettuata nei riguardi di un difensore diverso da quello che patrocinava la parte nel processo colpito dall’interruzione; in senso contrario non vale invocare coma fa la ricorrente Cass. 26 marzo 2012, n. 4851, concernente una fattispecie particolare, peraltro estranea alla materia fallimentare). Tale soluzione si accorda d’altronde con la già ricordata ratio «acceleratoria» posta a base dell’articolo 43 della legge fallimentare, giacché consente al Curatore di abbreviare lo stato di quiescenza dei processi di cui era parte il fallito, mentre la soluzione opposta, patrocinata dalla ricorrente, produrrebbe l’effetto di porre totalmente nel nulla l’intento che il legislatore ha inteso perseguire. Dopodiché resta da aggiungere che, come è stato già chiarito ad altro riguardo, la comunicazione della dichiarazione dell’evento interruttivo del giudizio, effettuata — come in questo caso ad opera del Curatore — mediante posta elettronica certificata è equivalente, ai sensi dell’art. 48, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 82 del 2005, alla notificazione a mezzo posta ed è pertanto idonea, in mancanza di prova contraria, a dimostrare la conoscenza legale dell’evento da parte del destinatario (Cass. 15 settembre 2017, n. 21375). Vale ancora osservare che, con specifico riguardo al fallimento, è stata sottolineata, in una già ricordata decisione (Cass. 15 marzo 2018, n. 6398), la necessità che la «conoscenza legale», nei riguardi della controparte del fallito, si estenda all’individuazione del processo colpito dall’interruzione: e ciò per simmetria rispetto all’orientamento formatosi con riguardo al corso del termine per la riassunzione nei riguardi del curatore fallimentare, che per definizione sa del dichiarato fallimento, ma potrebbe non sapere del o dei processi che il fallito aveva pendenti (Cass. 7 marzo 2013, n. 5650; Cass. 28 dicembre 2016, n. 27165). Il principio da affermare è in definitiva il seguente: «in caso di interruzione automatica del processo determinata dalla dichiarazione di fallimento di una delle parti, il termine per la riassunzione di cui all’art. 305 c.p.c. decorre dalla dichiarazione o notificazione dell’evento interruttivo secondo la previsione dell’art. 300 c.p.c., ovvero, se anteriore, dalla conoscenza legale di detto evento procurata dal curatore del fallimento alle parti interessate”.

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