Giudicato amministrativo: l’incidenza nel giudizio penale.

La Terza sezione della Corte di cassazione ha affermato che la valutazione del giudice penale in ordine alla legittimità di un atto amministrativo, che costituisca il presupposto di un reato, non è preclusa da un giudicato amministrativo formatosi all’esito di una controversia instaurata sulla base di documentazione incompleta, o comunque fondata su elementi di fatto rappresentati in modo parziale o addirittura non veritiero, sempre che tali criticità risultino da dati obiettivi preesistenti e sconosciuti al giudice amministrativo, ovvero sopravvenuti alla formazione del giudicato.

È la Sentenza n. 31282 ud. 24/05/2017 – deposito del 22/06/2017.

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Osserva il Collegio che la questione del sindacato del giudice penale sull’atto amministrativo è stata oggetto, nel corso degli anni di plurime pronunce della  Corte. La questione è stata peraltro presa in esame anche recentemente dalla Corte (Sez. 3, n. 12389 del 21/2/2017, Minosi, non ancora massimata) con argomentazioni che appare opportuno riproporre pressoché testualmente anche in questa occasione perché ritenute esaustive ai fini della presente decisione. La menzionata decisione ha, in primo luogo, ricordato come, in passato, l’argomento sia stato affrontato, in due diverse occasioni, dalle Sezioni Unite, con le note sentenze “Giordano” (Sez. U, n. 3 del 31/1/1987, Giordano, Rv. 17511501) e “Borgia” (Sez. U, n. 11635 del 12/11/1993, P.M. in proc. Borgia ed altri, Rv. 19535901). Ricorda poi la sentenza “Minosi” come, con la prima pronuncia, le Sezioni Unite avessero escluso che il giudice penale abbia, in base a quanto disposto dagli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E, il potere di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi che non comportano una lesione dei diritti soggettivi, ma rinnovano un ostacolo al loro libero esercizio (nulla osta, autorizzazioni) o addirittura li costituiscono, a meno che tale potere non trovi fondamento e giustificazione o in una esplicita previsione legislativa, ovvero, nell’ambito dell’interpretazione della norma penale qualora l’illegittimità dell’atto amministrativo si presenti essa stessa come elemento essenziale della fattispecie criminosa, giungendo, così, alla conclusione che il reato di costruzione in assenza della concessione (nel caso esaminato, quello allora sanzionato dall’art. 17 lett. B della legge 28 gennaio 1977 n. 10) non sia configurabile nel caso di illegittima concessione rilasciata prima dello inizio dei lavori e rilevando che si verterebbe, invece, in ipotesi di assenza dell’atto non solo quando l’atto in questione sia stato emesso da organo assolutamente privo del potere di provvedere, ma anche qualora il provvedimento sia frutto di attività criminosa del soggetto pubblico che lo rilascia o del soggetto privato che lo consegue e, quindi, non sia riferibile oggettivamente alla sfera del lecito giuridico, oltre la quale non è dato operare ai pubblici poteri. La seconda pronuncia delle Sezioni Unite — la quale faceva seguito ad una diversa presa di posizione, giustificata dalla necessità di una nuova valutazione della questione alla luce della legge 47\1985 (Sez. 3, n. 2766 del 9/1/1989, Bisceglia, Rv. 18241101) e ad una pronuncia della Corte Costituzionale (Corte Cost. ord. 288 del 14/6/1990), che invece ribadiva quanto affermato dalle Sezioni Unite “Giordano” – chiariva che il reato di cui all’ari. 20, comma primo, lett. a) dell’allora vigente legge 28 febbraio 1985, n. 47, era configurabile nel caso di realizzazione di opere di trasformazione del territorio in violazione del parametro di legalità urbanistica ed edilizia, costituito dalle prescrizioni della concessione edilizia, richiamata dalla norma penale ad integrazione descrittiva della fattispecie penale, nonché dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi, ed, in quanto applicabili, da quelle della stessa legge.Date tali premesse, le SS.UU. escludevano che, sussistendo difformità dell’opera edilizia rispetto agli strumenti normativi urbanistici, ovvero alle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, il giudice penale dovrebbe comunque concludere per la mancanza di illiceità penale nel caso in cui sia stata rilasciata la concessione edilizia, osservando che la concessione non è idonea a definire esaurientemente lo statuto urbanistico ed edilizio dell’opera realizzanda senza rinviare al quadro delle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle rappresentazioni grafiche del progetto approvato, con la conseguenza che, in tali ipotesi, non si configura una non consentita “disapplicazione” da parte del giudice penale dell’atto amministrativo concessorio, bensì l’esercizio, da parte del giudice penale, della potestà, attribuitagli dalla legge, di procedere ad un’identificazione in concreto della fattispecie sanzionata. Sulla scia della sentenza “Borgia”, dunque, la giurisprudenza di questa Corte è successivamente giunta alla condivisibile conclusione che l’attività svolta dal giudice in presenza di un titolo abilitativo edilizio illegittimo consiste nel valutare la sussistenza dell’elemento normativo della fattispecie e non nel disapplicare l’atto amministrativo o effettuare comunque valutazioni proprie della P.A. Nella citata sentenza “Minosi” si ricorda anche come, nelle successive pronunce, il principio da ultimo affermato dalle Sezioni Unite sia stato oggetto di ulteriori puntualizzazioni. Viene infatti rilevato che esso è stato ribadito dalle stesse Sezioni Unite con riferimento alla lottizzazione abusiva (Sez. U, n. 5115 del 28/11/2001 (dep.2002), Salvini, Rv. 22070801) e che, successivamente, si è chiarito, ad esempio, dopo un’accurata disamina della evoluzione giurisprudenziale sul tema, che la , ‘macroscopica illegittimità” del provvedimento amministrativo non è condizione essenziale per la configurabilità di un’ipotesi di reato ex art. 44 d.P.R. 380\01, mentre, a prescindere da eventuali collusioni dolose con organi dell’amministrazione, l’accertata esistenza di profili assolutamente eclatanti di illegalità costituisce un significativo indice di riscontro dell’elemento soggettivo della contravvenzione contestata anche riguardo all’apprezzamento della colpa (Sez. 3, n. 21487 del 21/3/2006, P.M. in proc. Tantillo e altro, Rv. 23446901), specificando pure che la non conformità dell’atto amministrativo alla normativa che ne regola l’emanazione, alle disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico edilizia ed alle previsioni degli strumenti urbanistici può essere rilevata non soltanto se l’atto medesimo sia illecito, cioè frutto di attività criminosa ed a prescindere da eventuali collusioni dolose del soggetto privato interessato con organi dell’amministrazione, ma anche nelle ipotesi in cui l’emanazione dell’atto sia espressamente vietata in mancanza delle condizioni previste dalla legge, o in quella di mancato rispetto delle norme che regolano l’esercizio del potere (Sez. 3, n. 40425 del 28/9/2006, Consiglio, Rv. 23703801). Ricordando, poi, come anche le pronunce successive siano pervenute a conclusioni analoghe (v., ad es., Sez. 3, n. 41620 del 2/10/2007, Emelino, Rv. 23799501; Sez. 3, n. 28225 del 09/05/2008, Di Stefano, non massimata; Sez. 3, n. 35389 del 27/06/2008, Gallo, non massimata; Sez. 3, n. 9177 del 13/01/2009, Corvino, non massimata; Sez. 3, n. 14504 del 20/1/2009, Sansebastiano e altri, Rv. 24347401, non massimata sul punto; Sez. 3, n. 34809 del 2/7/2009, Giombini e altro, non massimata; Sez. 3, n. 35391 del 14/7/2010, Di Domenico, non massimata; Sez. 3, n. 28545 del 16/2/2012, Cinti, non massimata; Sez. 3, n. 37847 del 14/5/2013, Sonni, Rv. 25697101; Sez. 3, n. 36366 del 16/6/2015, Faiola, Rv. 26503401) si fa rilevare che altre successive decisioni (Sez. 3, n. 7423 del 18/12/2014 (dep. 2015), Cervino e altri, Rv. 26391601, richiamata anche da Sez. 3, n. 52861 del 14/07/2016, Gnudi, non massimata) solo apparentemente sembrano discostarsi dal consolidato indirizzo giurisprudenziale richiamato. La sentenza 7423\2015, prendendo in esame le censure di costituzionalità della fattispecie penale ipotizzata per asserito contrasto con l’art. 3, comma 1, 25, comma 2 e 27, comma 1, Cost., le ha disattese sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni applicate e, richiamando parte delle pronunce succedutesi nel tempo in materia di illegittimità del permesso di costruire ed abuso edilizio, è giunta alla conclusione che, ai fini della configurabilità delle ipotesi di reato previste nelle lettere b) e c) dell’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, non possono ritenersi realizzate in “assenza” di permesso di costruire le opere eseguite sulla base di un provvedimento abilitativo meramente illegittimo, ma non illecito o viziato da illegittimità macroscopica, tale da potersi ritenere sostanzialmente mancante. Precisa a tale proposito la più volte citata sentenza “Minosi” che tali affermazioni, per come formulate, potrebbero prestarsi ad una lettura ritenuta indicativa di una inversione dell’ormai lineare percorso interpretativo tracciato dalla giurisprudenza nel corso degli anni, ma che così certamente non può essere, perché, altrimenti, la suddetta decisione non avrebbe potuto fare a meno di prendere esplicitamente le distanze dai principi affermati con la sentenza “Borgia” delle Sezioni Unite, successivamente ribaditi nella sentenza “Salvini”, nonché dalle pronunce che ai medesimi principi hanno dato ulteriore continuità. Ciò che invece si comprende chiaramente nella sentenza 7423/2015, aggiunge, è che si è voluto escludere ogni automatismo tra mera illegittimità del titolo abilitativo e sussistenza del reato urbanistico, eliminando così il rischio, paventato nella prospettata questione di legittimità costituzionale, di una irragionevole equiparazione interpretativa “in malam partem” tra mancanza “ah origine” dell’atto concessorio e illegittimità dello stesso accertata “ex post”, sia la violazione del principio della responsabilità penale per fatto proprio colpevole. Viene inoltre dato atto che anche la successiva sentenza “Gnudi”, ove, dopo un richiamo al principio affermato, si è rinvenuta la macroscopica illegittimità di un articolo delle norme tecniche di attuazione del regolamento urbanistico, rilevante nella definizione del caso preso in esame, sembra orientata nello stesso senso. La sentenza “Minosi” rileva, quindi, che le pronunce che si richiamano alla sentenza “Borgia” e le stesse Sezioni Unite non hanno mai dato adito ad equivoche amplificazioni degli effetti dei principi affermati ed asserisce come, nell’individuare le situazioni di illegittimità che rendono l’atto abilitativo improduttivo di validi effetti, non possa non farsi riferimento alle finalità della disciplina urbanistica ed ai presupposti per il rilascio del permesso di costruire, che l’art. 12 del d.P.R. 380\01 individua, tra l’altro, nella conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico – edilizia vigente. Ne consegue che, in disparte l’ipotesi dell’illiceità del provvedimento, la illegittimità rilevante per il giudice penale non può che essere quella derivante dalla non conformità del titolo abilitativo alla normativa che ne regola l’emanazione o alle disposizioni normative di settore, dovendosi, al contrario, radicalmente escludersi la possibilità che il mero dato formale dell’esistenza del permesso di costruire possa precludere al giudice penale ogni valutazione in ordine alla sussistenza del reato. Ricorda, infine, la richiamata sentenza, che a conclusioni analoghe la giurisprudenza di questa Corte è pervenuta anche per ciò che concerne i provvedimenti amministrativi di sanatoria o condono, osservando come il mancato effetto estintivo non sia riconducibile ad una valutazione di illegittimità del provvedimento cui consegua la disapplicazione dello stesso, ma alla verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’estinzione del reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo, incidente sulla fattispecie tipica penale (Sez. 3, n. 23080 del 16/04/2008, Proietti, non massimata; conf. Sez. 3, n. 26144 del 22/04/2008, Papa, Rv. 24072801; Sez. 3, n. 12869 del 5/2/2009, Fulginiti, non massimata; Sez. 3, n. 27948 del 10/6/2009, Sabbatini, non massinnata; Sez. III n. 31479, 29 luglio 2008). I principi sopra richiamati, da ultimo riproposti nella sentenza “Minosi” sono ovviamente pienamente condivisi dal Collegio perché delineano in modo chiaro l’ambito il potere del giudice penale rispetto al provvedimento amministrativo.

3.3 Un ulteriore limite, che i ricorrenti pongono maggiormente in evidenza e che la Corte di appello, come si dirà, non ha mancato di considerare, è quello posto dal giudicato amministrativo. Questa Corte ha, infatti, affermato che al giudice penale è preclusa la valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell’illecito penale solo nel caso in cui sul tema sia intervenuta una sentenza irrevocabile del giudice amministrativo e che tale preclusione non si estende, però, ai profili di illegittimità, fatti valere in sede penale, che non siano stati dedotti ed effettivamente decisi in quella amministrativa (Sez. 1, n. 11596 del 11/1/2011, PG. in proc. Keller, Rv. 249871). Si osservava infatti in quell’occasione che, sebbene le pronunce definitive del giudice amministrativo costituiscano un limite al potere del giudice penale di valutare la legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell’illecito penale (si richiamava, a tale proposito, Sez. 3, n. 54 del 11/1/1996, Ciaburri, Rv. 204622, ma si vedano anche Sez. 3, n. 1894 del 14/12/2006 (dep.2007), P.M. in proc. Bruno e altro, Rv. 23564401, che a sua volta richiama Sez. 3, n. 39707 del 5/6/2003, Lubrano di Scorpianello, Rv. 22659201, nonché Sez. 2, n. 50189 del 9/12/2015, Comune Di Golfo Aranci e altri, Rv. 26541601), deve comunque considerarsi l’autonomia della giurisdizione penale rispetto a quella amministrativa e la assoluta rilevanza ed inderogabilità del potere del giudice ordinario di efirtai3914e~re dell’atto amministrativo illegittimo, con la conseguenza che l’effetto preclusivo resta confinato ai casi in cui un provvedimento giurisdizionale del giudice amministrativo passato in giudicato abbia espressamente esaminato lo specifico profilo di illegittimità dell’atto fatto valere, incidentalmente, in sede penale, richiamando, per le diverse ipotesi, quanto già affermato in materia di processo esecutivo, sulla esclusiva rilevanza del giudicato amministrativo rispetto alle questioni dedotte ed effettivamente decise e non anche a quelle deducibili (richiamandosi, su tale specifico punto, Sez. 1, n. 30496 del 3/6/2010, Nicolini, Rv. 248319). Tali conclusioni sono state ribadite in una successiva pronuncia (Sez. 4, n. 46471 del 20/9/2012, P.M. in proc. Valentini e altro, Rv. 253919), dando atto di un orientamento, ritenuto ormai consolidato, il quale considera la vincolatività solo tendenziale del giudicato amministrativo nel processo penale, come peraltro ribadito in una ancor più recente decisione di questa Sezione (Sez. 3, n. 44077 del 18/7/2014, Scotto Di Clemente, Rv. 260612). Successivamente, i principi affermati nelle pronunce appena ricordate sono stati nuovamente affermati, ponendo in evidenza come non possa spiegare alcun effetto nel procedimento penale una valutazione effettuata dal giudice amministrativo con riferimento a situazioni che, sebbene analoghe, abbiano comunque riguardato soggetti e circostanze diverse (Sez. 3, n. 30171 del 04/06/2015, P.M. in proc. Serafini, Rv. 26439301, non massimata sul punto) ovvero che abbia riguardato la sospensione cautelare del provvedimento presupposto del reato (Sez. 3, n. 3538 del 18/11/2015 (dep. 2016), Morra, Rv. 26608301).

La Corte ritiene quindi che non può considerarsi ostativo alla valutazione del giudice penale sulla legittimità dell’atto amministrativo presupposto del reato il giudicato amministrativo formatosi all’esito di una controversia instaurata sulla base di documentazione incompleta o che, comunque, si è fondata su elementi di fatto rappresentati in modo parziale o, addirittura, non rispondenti al vero.Se, infatti, ciò che rileva, sulla base dei principi dianzi richiamati, è la piena cognizione della questione trattata da parte del giudice amministrativo e la effettiva decisione sulla legittimità dell’atto amministrativo presupposto del reato, tali evenienze non possono ritenersi verificate quando la decisione sia stata assunta disponendo di dati inesatti o incompleti. Ciò, ovviamente, quando la situazione che libera il giudice penale dall’ostacolo opposto dal giudicato amministrativo non sia conseguenza di mere valutazioni personali ma risulti da un dato obiettivo preesistente e sconosciuto al giudice amministrativo o sopravvenuto. Ritenendo, invece, che il giudice penale sia in ogni caso vincolato dal giudicato amministrativo, si perverrebbe alla singolare situazione per cui, pur nella consapevolezza che la ritenuta legittimità del provvedimento amministrativo sia da escludere sulla base di elementi fattuali obiettivamente significativi, egli debba comunque ritenere insussistente un reato che nel processo penale risulta pacificamente accertato.

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