Mancata registrazione della locazione ad uso non abitativo: la registrazione tardiva sana la nullità

La Suprema Corte, pronunciandosi in tema di locazione immobiliare ad uso non abitativo, ha ritenuto che la mancata registrazione del contratto, prevista dall’art. 1, comma 346, della l. n. 311 del 2004, ne determini la nullità ex art. 1418 c.c,. che, tuttavia, attesa la sua atipicità, desumibile dal complessivo impianto normativo in materia ed in particolare dalla espressa previsione di forme di sanatoria, è sanata con effetti “ex tunc” dalla tardiva registrazione del contratto.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione Terza Sezione Civile con sentenza n. 10498 del 28 aprile 2017 (clicca qui per leggere la MOTIVAZIONE sul sito della Corte).

Trattasi di una sentenza molto dotta che ripercorre le tappe della legislazione anche fiscale riguardante la registrazione dei contratti locatizi, dando conto delle sentenze della Consulta nella materia e dei precedenti della stessa Cassazione.


La Corte parte dall’esame della normativa fiscale che regola la materia. Gli artt. 2, lett. a) e b), e 3, lett. a), del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Testo unico sull’imposta di registro), nonchè all’art. 5, comma 1, lett. b) della “Tariffa” allegata, parte I, e all’art. 2 bis, parte II della medesima Tariffa , richiamata dal citato art. 2., prevedono la registrazione del contratto di locazione Sono soggetti a registrazione sia le locazioni stipulate in forma scritta che quelle stipulate in forma verbale. Ai sensi dell’articolo 17, comma 1, del medesimo D.P.R, come modificato dall’articolo 68 della legge 21 novembre 2000 n. 342, la registrazione deve essere effettuata entro 30 giorni dalla data dell’atto o dalla sua esecuzione in caso di contratto verbale. Come effetti l’art.18 del medesimo D.P.R prevede che la registrazione attesta l’esistenza degli atti ed attribuisce ad essi data certa di fronte ai terzi a norma dell’art. 2704 del codice civile (ma non prevede espressamente alcuna sanzione per l’inosservanza dell’obbligo imposto.) Secondo l’art. 76, comma 5, del citato D.P.R. n. 131 del 1986, “l’intervenuta decadenza -non dispensa dal pagamento dell’imposta in caso di registrazione volontaria o quando si faccia uso dell’atto ai sensi dell’art. 6”, ammettendo implicitamente la possibilità di una registrazione tardiva, anche in caso di decadenza dall’azione di riscossione.

Istituto introdotto successivamente è poi il c.d. “ravvedimento operoso”, che prevede la riduzione della sanzione prevista per la violazione delle norme tributarie nei casi ed alle condizioni indicate dall’art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, modificato dai decreti legislativi n. 203 del 5 giugno 1998, n. 422 del 19 novembre 1998 e n. 99 del 30 marzo 2000, nonché dal decreto-legge n. 185 del 29 novembre 2008 (convertito con modificazioni dalla legge n. 2 del 28 gennaio 2009), applicabile a tutti i tributi. Inoltre l’art. 20 del d.P.R. n. 131/1986 ha introdotto il principio dell’autonomia dell’interpretazione fiscale del contratto rispetto alla sua interpretazione civilistica. Un principio di tendenziale non interferenza tra le regole di diritto tributario e quelle attinenti alla validità civilistica degli atti, è stato introdotto nell’art. 10, comma 3, I. 27 luglio 2000, n. 212 (sullo statuto dei diritti del contribuente), secondo cui, “le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto”; ciò dopo aver affermato, al comma 1 del medesimo art. 10, che “i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”.

Con l’art. 13, comma 1, della L. 9 dicembre 1998 n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), il legislatore ha previsto che “è nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato”. Nei casi di nullità di cui al comma 1 il , conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, puo’ chiedere la restituzione delle somme corrisposte in misura superiore al canone risultante dal contratto scritto e registrato Con legge 28-12-2015 n.2008 (legge di stabilità 2016) all’art. 13, comma 1, della I. 9 dicembre 1998 n. 431 viene previsto l’obbligo del locatore di provvedere alla registrazione del contratto nel termine perentorio di trenta giorni.

Quanto alle imposte sui redditi, con specifico riferimento ai contratti di locazione immobiliare, l’art. 41 ter del D.P.R. n. 600 del 1973 (inserito nel testo del citato D.P.R. dal comma 342 dell’art. 1, L.30 dicembre 2004 n. 311,c.d. legge finanziaria per l’anno 2005)), al comma 2, stabilisce, a sua volta, che “in caso di omessa registrazione del contratto di locazione di immobili, si presume, salva documentata prova contraria, l’esistenza del rapporto di locazione anche per i quattro periodi d’imposta antecedenti quello nel corso del quale e’ accertato il rapporto stesso”. L’art. 1, comma 346 della L. 30 dicembre 2004 n. 311 ha disposto: “i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unita’ immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati”.

Deve ricordarsi anche che l’art.3 del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 , in caso di omessa registrazione entro il termine stabilito dalla legge del contratto di locazione ad uso abitazione, ha sostituito una durata legale del rapporto in quattro anni rinnovabili decorrenti dal momento della registrazione tardiva ed un canone annuale determinato nella misura del triplo della rendita catastale dell’immobile, ove inferiore a quella pattuita. Tali disposizioni sono state successivamente dichiarate incostituzionali per eccesso di delega con sentenza della Corte Cost. 14 marzo 2014 n. 50, e la stessa sorte ha subito l’art. 5, comma 1 ter, del d.l. 28 marzo 2014 n. 47 (convertito in I. 23 maggio 2014 n. 80), che aveva cercato di salvare temporaneamente gli effetti già prodotti sui contratti di locazione in virtù della disciplina di cui alle norme incostituzionali, a sua volta dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale con sentenza del 16 luglio 2015 n. 169.

Da ultimo la Legge di stabilità 2015 (Legge n. 190/2014, art. 1, commi da 634 a 640) ha introdotto una serie di disposizioni volte a consentire un ravvedimento operoso con un limite temporale più ampio di quello previsto in precedenza.

Nel tempo la Corte Costituzionale ha avuto modo di pronunziarsi sulla costituzionalità di alcune delle norme indicate. Si è occupata dell’art. 13, I. n. 431 del 1998, nella parte in cui prevede con riferimento ai soli contratti di locazione ad uso abitativo la nullità delle pattuizioni volte a determinare un importo del canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato (comma 1) e consente al conduttore di chiedere la restituzione delle somme indebitamente corrisposte (comma 2). Con ordinanza n. 242 del 2004 ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione sollevata da Tribunale di La Spezia per contrasto con l’art. 3 Cost., con riferimento al citato art. 13, perché il rimettente, pur alla luce delle diverse tesi riscontrabili in giurisprudenza circa la natura e gli effetti della registrazione del contratto di locazione e la corrispondente pluralità di opinioni sostenute in dottrina aveva lasciato incompiuto quel doveroso tentativo di ricercare un’interpretazione adeguatrice del testo di legge denunciato, al quale ciascun giudice è, comunque, tenuto prima di proporre l’incidente di costituzionalità .

La Corte costituzionale si è pronunziata per tre volte in ordine alla costituzionalità all’art 1, comma 346 della L. 30 dicembre 2004 n. 311. Con ordinanza n.420 del 5-12-2007 la Corte si è pronunziata in ordine alla questione sollevata dal tribunale di Torino per contrasto con l’art.24 Cost. perché la norma condizionerebbe l’esercizio della tutela giurisdizionale dei diritti all’adempimento di un onere fiscale, con la previsione che la validità del contratto di locazione è subordinata alla registrazione dello stesso. La Corte ha ritenuto la manifesta infondatezza “per l’inconferenza del parametro costituzionale invocato” (l’art. 24 Cost) dal remittente sul rilievo, stante il carattere sostanziale della norma denunciata, che non attiene alla materia delle garanzie di tutela giurisdizionale . La Corte ha affermato che l’art. 1, comma 346, della L. n. 311 del 2004 “non introduce ostacoli al ricorso alla tutela giurisdizionale, ma eleva la norma tributaria al rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418 cod. civ.”. Altra questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 346, L. n. 311 del 2004 è stata sollevata in due distinte occasioni dal Tribunale di Napoli, sez. distaccata di Ischia, in relazione agli artt. 41, 3 e 24 Cost. .Con ordinanze n.389 del 19-11-2008 e n.110 del 9-4-2009 la Corte ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione, con riferimento ai parametri 41 e 3 Cost., e manifestamente infondata quanto al parametro dell’art. 24 Cost.. In particolare, la declaratoria di inammissibilità è stata fondata, quanto al parametro dell’art. 3, sul rilievo che il giudice remittente non aveva adeguatamente individuato “i motivi dell’ipotizzata irragionevolezza intrinseca della norma, limitandosi ad indicare, in termini meramente descrittivi, l’ovvia diversità delle conseguenze per le parti derivanti dalla previsione della nullità del contratto rispetto al regime precedente”, nonché, quanto al parametro dell’art. 41, sulla considerazione che nell’ordinanza di remissione non erano state “neppure chiarite le ripercussioni della nullità sull’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione finanziaria sotto il profilo della possibilità o meno per la stessa di trattenere le somme eventualmente versate a titolo di imposta di registro”. )\`’ La manifestata infondatezza delle questioni, con riferimento al parametro dell’art. 24 Cost. è stata invece motivata richiamando la precedente ordinanza n. 420 del 2007 emessa dalla stessa Corte. Già citata è la sentenza n.50 del 14-3-2014 che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dei commi 8 e 9 dell’art. 3, d.lgs. n. 23/2011 per eccesso di delega (art. 76 Cost.). Una disposizione sostanzialmente riproducente, quanto alla misura del canone, la norma dichiarata incostituzionale risulta peraltro attualmente vigente, in quanto reintrodotta al comma 5 dell’art. 13, L. n. 431/1998 ad opera della novella operata con l’art. 1, comma 59, della I. 28 dicembre 2015 n. 208.

.In ordine agli effetti civili che possono derivare dalle violazioni tributarie la giurisprudenza prevalente ha negato che la norma fiscale abbia carattere imperativo, conclusione raggiunta valorizzando la distinzione tra norme imperative e norme inderogabili ritenendo il carattere settoriale dell’interesse sotteso. Si è affermato che “le norme tributarie, essendo poste a tutela di interessi pubblici di carattere settoriale e non ponendo, in linea di massima, divieti, pur essendo inderogabili, non possono qualificarsi imperative, presupponendo tale qualificazione che la norma abbia carattere proibitivo e sia posta a tutela di interessi generali, che si collochino al vertice della gerarchia dei valori protetti dall’ordinamento giuridico. Caratteri, questi, certamente non ravvisabili nelle norme tributarie, in quanto esse sono poste a tutela di interessi pubblici di carattere settoriale e, in linea di massima, non pongono divieti, ma assumono un dato di fatto quale indice di capacità contributiva (Cass. 5 novembre 19991 n. 12327; 8 novembre 1995, n. 11598; 19 giugno 1981, n. 4024). In generale, è sempre stato riconosciuto vigente un principio di non interferenza fra le regole del diritto tributario e quelle attinenti alla validità civilistica degli atti, principio che si è ritenuto confermato dalla stessa normativa tributaria di contrasto all’elusione fiscale, la quale sancisce la mera inopponibilità all’amministrazione finanziaria dei fatti, degli atti e dei contratti che siano sprovvisti di “sostanza economica” e finalizzati, “pur nel rispetto formale delle norme fiscali” a realizzare “essenzialmente vantaggi fiscali indebiti” (così l’art. 10 bis della L n. 212 del 2000, aggiunto dall’art. 1 del d.lgs. n. 128 del 5 agosto 2015, che abroga e sostituisce l’art. 37 bis del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, a sua volta già inserito nel testo del d.P.R. n. 600 del 1973 dall’art. 7 del d.lgs. n. 358 del 1997) e rafforzato dall’art. 10, comma 3, della stessa L. n. 212 del 2000, a mente del quale, “le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto”, confermato dalla stessa normativa tributaria di contrasto all’elusione fiscale. Successivamente è iniziato ad emergere un cambiamento di impostazione avendo la giurisprudenza affermato, in materia di cosiddetti dividendi washing che pur non esistendo nell’ordinamento fiscale italiano una clausola generale antielusiva, non può negarsi l’emergenza di un principio tendenziale, desumibile dalle fonti comunitarie e dal concetto di abuso del diritto elaborato dalla giurisprudenza comunitaria, secondo cui non possono trarsi benefici da operazioni intraprese ed eseguite al solo scopo di procurarsi un risparmio fiscale. L’applicazione del predetto principio si è tradotta nella individuazione di un difetto di causa che dà luogo alla nullità dei contratti collegati di acquisto e di rivendita delle azioni, non conseguendo dagli stessi alcun vantaggio economico per le parti, all’infuori del risparmio fiscale. Tale mancanza di ragione, che investe nella sua essenza lo scambio tra le prestazioni contrattuali attuato attraverso il collegamento negoziale, comporta l’inefficacia dei contratti nei confronti del fisco (Cass.sent n.20398 del 21-10-2005); inoltre si è ritenuto che l’amministrazione finanziaria, quale terzo interessato alla regolare applicazione delle imposte, è legittimata a dedurre (prima in sede di accertamento fiscale e poi in sede contenziosa) la simulazione assoluta o relativa dei contratti stipulati dal contribuente, o la loro nullità per frode alla legge, ivi compresa la legge tributaria (art. 1344 cod. civ.); la relativa prova può essere fornita con qualsiasi mezzo, anche attraverso presunzioni (Cass 20816 del 26- 10-2005). Decisioni successive sono tornate al tradizionale orientamento secondo cui le pattuizioni contenute in un contratto che siano dirette ad eludere, in tutto o in parte, la normativa fiscale, non implicano di per sè la nullità del contratto stesso, trovando nel sistema tributario le relative sanzioni (Cassa, sez. 2, n. 4785 del 28/02/2007, Cass. sez. 3, n. 7282 del 18 marzo 2008, e, in precedenza, tra le altre Cass. sez. 3 n. 13621 del 22 luglio 2004).

Deve porsi in evidenza che a partire dalla legislazione tributaria del 1998 si è sviluppata una inversione di tendenza rispetto al principio di non interferenza della norma tributaria sulla validità dell’atto, culminata con l’emanazione dell’art. 1, comma 346, della L. n. 311 del 2004, così come interpretato della sentenza della Corte Costituzionale del 2007. 16.La Giurisprudenza di merito ha inquadrato la “nullità” per mancata registrazione del contratto di locazione con il riferimento a diversi istituti giuridici. Secondo alcune pronunce la registrazione non costituisce requisito di validità del contratto, ma mera condicio juris di efficacia dello stesso, che può intervenire ed avverarsi in un momento successivo alla conclusione del negozio, inducendo l’efficacia dello stesso con effetto ex tunc, ai sensi dell’art. 1360, comma 1, c.c. Altra parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto che la norma dell’art. 1, comma 346 L. n. 311 del 2004 non introduce una condizione di efficacia, in quanto, come indicato dalla Corte Costituzionale (ordinanze nn. 420 del 2007, 389 del 2008 e 110 del 2009), opera su un piano sostanziale introducendo una nullità non prevista dal codice civile, con la conseguenza che la norma tributaria viene elevata a rango di norma imperativa, la cui violazione determina la nullità del negozio ex art. 1418 c.c., suscettibile però si sanatoria con effetti ex nunc a seguito di tardiva registrazione. Una posizione minoritaria e più rigorosa riconosce nella disposizione dell’art. 1, comma 346, L.n. 311 del 2004 una vera e propria nullità, assoluta e rilevabile d’ufficio, non suscettibile di sanatoria alcuna a seguito di tardiva registrazione, in applicazione dell’art. 1423 c.c..

La dottrina prevalente è stata molto critica nella lettura dell’art. 1, comma 346, della L. n. 311/2004 e nella previsione in esso contenuta di una nullità del contratto indipendente da un vizio genetico e dipendente invece da un comportamento successivo allo stipula dello stesso. È stato evidenziato il contrasto esistente fra tale previsione e principi stabiliti dal codice in materia di nullità del contratto. Una teoria minoritaria e rispettosa del dato testuale della legge ha ritenuto che i contratti di locazione stipulati dopo l’introduzione di questa norma sono nulli con una nullità non suscettibile di sanatoria. Sempre rimanendo nel rispetto del dato testuale della norma e dell’interpretazione della Corte Costituzionale del 2007, altra parte della dottrina ha ritenuto la nullità del contratto di locazione non registrato, ma contemporaneamente ha ritenuto compatibile anche una sanatoria per tardiva registrazione del contratto in quanto il riconoscimento di una sanatoria per l’adempimento è una conseguenza coerente all’introduzione nell’ordinamento di una nullità per inadempimento. Seguendo questa teoria però l’adempimento tardivo dell’obbligo di registrazione produce un’efficacia sanante ex nunc secondo lo schema della conferma. Altri autori, pur riconoscendo in quella prevista dal legislatore per la mancata registrazione del contratto una nullità, parlano di nullità “impropria” e “atipica”, perché il contratto spiegherebbe comunque i suoi effetti almeno fino a 30 giorni, termine ultimo per effettuare la registrazione, assimilabile alla convalida. Altri autori invece ritengono che con la sanatoria si attui la definitiva eliminazione della nullità e la rivivescenza dunque di tutti gli effetti contrattuali. La dottrina prevalente però si allontana dal dato testuale inserito nella norma e propende per ritenere che il legislatore con il comma 346 cit. ha introdotto una condizione legale di efficacia della locazione, rappresentata dall’adempimento dell’obbligo tributario della registrazione che, una volta avvenuta, conferisce efficacia giuridica al negozio fin dalla sua origine in parallelo con l’efficacia retroattiva della condizione. A sostegno di questa tesi sono state evidenziate le numerose incongruenze di ordine sistematico che deriverebbero dall’interpretazione della norma come nullità, valorizzando anche il contenuto dell’articolo 10 comma tre dello Statuto del Contribuente che, benché non abbia la forza di imporsi alle norme speciali sopravvenute, costituirebbe comunque un indice indicativo del rapporto fra la norma tributaria e norma civilistica. Deve ricordarsi anche la dottrina che interpreta la norma come previsione di una fattispecie a formazione progressiva, individuando nella registrazione un fatto che integra e completa il procedimento che conduce al contratto, che così produrrà i suoi effetti tra le parti acquistando efficacia solo al momento del perfezionamento. Tale dottrina ritiene che gli effetti della registrazione retroagiscono fin dall’all’inizio del contratto con effetto ex tunc.

.E’ necessario a questo punto valutare il contenuto della sentenza Sez. Unite, 17/09/2015, n. 18213 che si è pronunciata sull’irrilevanza della tardiva registrazione del patto occulto sul canone nelle locazioni abitative con riguardo all’art. 13 L. n. 431 del 1998 „ al fine di individuare principi di contenuto generale utilizzabili anche per l’interpretazione dell’art. 1, comma 346, della I. n. 311/2004.Si osserva che SU n. 18213 del 2015 – pur ricercando “un unico filo conduttore” nella legislazione successiva al 1998 e affermando “un principio generale di inferenza/interferenza dell’obbligo tributario con la validità del negozio” – pone precisi “paletti” tra la sanzione di nullità della (sola) previsione occulta di una maggiorazione del canone apparente, così come indicato nel contratto registrato di locazione abitativa, prevista dall’art. 13 L. n. 431 del 1998) e la sanzione della nullità per omessa registrazione introdotta dall’art. 1, comma 346 finanziaria. In particolare le Sezioni Unite – premesso che, nel caso all’esame, la norma di riferimento andava individuata nell’art. 13 L. 431 del 1998, nel testo vigente ratione temporis, in quanto il contratto era stato stipulato nel marzo del 2003, in epoca cioè antecedente all’entrata in vigore della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 346, (legge finanziaria 2005) – hanno chiaramente distinto la ratio sottesa all’una e all’altra normativa, affermando: – “(9.3.) L’interpretazione dell’art. 13 (della L. n. 431 del 1998) deve, difatti, condursi alla stregua della più generale riflessione secondo cui già nel 1998 la volontà del legislatore era quella di sanzionare di nullità la sola previsione occulta di una maggiorazione del canone apparente, così come indicato nel contratto registrato, in guisa di vera e propria lex specialís, derogativa ratione materiae, alla lex generalis (benché posteriore) costituita dal c.d. statuto del contribuente. (9.4.) La corretta evocazione, compiuta dal collegio remittente con l’ordinanza interlocutoria, dell’istituto della causa negoziale sì come rivisitato da questa Corte con la sentenza 10490/2006, predicativa del carattere c.d. “concreto” dell’elemento causale, consente di affermare che lo scopo del procedimento simulatorio è indiscutibilmente quello dell’occultamento al fisco della differenza tra la somma indicata nel contratto registrato e quella effettivamente percepita dal locatore. (9.5.) Ma ciò non significa che il legislatore del 1998 abbia voluto sancire un obbligo di registrazione del contratto con norma imperativa la cui violazione comporterebbe la nullità dell’intero contratto. ( ) (11.4.) Se la sanzione della nullità derivasse dalla violazione dell’obbligo di registrazione, allora sembrerebbe ragionevole ammettere un effetto sanante al comportamento del contraente che, sia pur tardivamente, adempia a quell’obbligo (nel sistema tributano è previsto, difatti, il cosiddetto “ravvedimento” D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 13, comma 1, – disciplina poi confermata ex D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 -, consistente nel versamento di una sanzione pecuniaria ridotta per correggere errori ed omissioni o per versare in ritardo l’imposta dovuta, alla condizione che la violazione non sia già stata constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore o i soggetti solidalmente obbligati abbiano avuto formale conoscenza).”

Così delineato il sistema normativo di riferimento, il contenuto delle decisioni della Corte Costituzionale, lo sviluppo e lo stato attuale della giurisprudenza di merito e di legittimità, gli indirizzi dottrinari in relazione all’art. 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, questa Corte si trova a dover fare applicazione di tale disposizione nella cui formulazione il legislatore esplicitamente ha usato il termine “nullità” del contratto non registrato. Appare a questo Collegio semplicistico e riduttivo affermare, come fa parte della dottrina e della giurisprudenza di merito, che il legislatore abbia utilizzato il termine “nullità”, volendosi riferire a diverso istituto giuridico. La nullità del negozio giuridico costituisce una categoria cardine del diritto civile e la disciplina che la regola è ben nota a qualsiasi studioso del diritto, tanto da portare ad escludere che il legislatore abbia utilizzato questo termine senza rendersi conto del significato e delle conseguenze che ne sarebbero derivate. D’altra parte è necessario confrontarsi con una pluralità di distonie esistenti sul piano sistematico fra la norma in oggetto e i principi stabiliti dal codice civile in materia di nullità dei contratti, che collegano tale forma di invalidità ai vizi riguardanti l’iter formativo e costitutivo dell’atto negoziale, nel quale certamente è difficile far rientrare un evento, come la mancata registrazione, estraneo al contratto e ad esso temporalmente successivo.. La ricostruzione della fattispecie in termini di nullità, come ha evidenziato gran parte della dottrina e della giurisprudenza, implica come conseguenza la rilevabilità d’ufficio da parte del giudice, l’imprescrittibilità dell’azione, l’impossibilità di sanare il negozio per convalida e, soprattutto, la legittimazione di chiunque vi abbia interesse ad esercitare l’azione di nullità. Inoltre deve tenersi conto di alcune conseguenza evidenziate dagli interpreti più avveduti con effetti negativi per i conduttori di immobili non abitativi per i quali si realizzerebbe di fatto una sostanziale liberalizzazione, in quanto l’omessa registrazione vanificherebbe la tutela dell’avviamento commerciale, il diritto alla prelazione, come pure la libera trasferibilità dell’azienda e del contratto di locazione: siffatte forme di tutela, infatti, non potrebbero essere invocate per un contratto originariamente nullo.

Si osserva, però, che la disposizione del 2004 non può che essere interpretata con la volontà del legislatore di prevedere la sanzione della nullità per mancata registrazione estesa a qualsiasi pattuizione relativa sia ai contratti di locazione ad uso abitazione che a quelli ad uso diverso. L’interprete si deve confrontare con questa realtà normativa che non si può eludere per la sua chiarezza terminologica e che, come si è detto, rende difficile aderire ad alcune affermazioni della giurisprudenza di merito e di parte dottrina che portano alla conclusione di una volontà del legislatore di dire una cosa diversa da quella che effettivamente ha detto. Deve inoltre tenersi conto delle affermazioni della Corte Costituzionale, che per ben tre volte è stata chiamata a pronunziarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004,n. 311 , ritenendo non solo la legittimità costituzionale della norma rispetto ai parametri invocati dai giudici remittenti, ma aggiungendo una interpretazione della norma di cui questa Corte deve tenere conto. Come si è detto la Corte Costituzionale con l’ordinanza n.420 del 2007 ha ritenuto il carattere sostanziale della norma denunciata, che non introduce ostacoli al ricorso alla tutela giurisdizionale, ma eleva la norma tributaria al rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418 cod. civ. Le successive due pronunce, già indicate in precedenza, hanno richiamato confermandoli i principi dell’ordinanza del 2007.

La Corte ritiene di seguire le autorevoli indicazioni della Corte Costituzionale che ha qualificato l’ipotesi oggetto dell’art. 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004,n. 311 come nullità del contratto per violazione di norme imperative ai sensi dell’art.1418 c.c. La qualificazione della norma tributaria sull’obbligo di registrazione come norma imperativa fa ritenere che la Corte Costituzionale abbia valutato che essa è stata dettata non solo nell’interesse del singolo contraente di volta in volta implicato e neanche per un interesse solo settoriale, come la giurisprudenza ha più volte affermato in passato in relazione alle norme tributarie, ma che è stata dettata nell’interesse pubblico e generale al rispetto da parte di ciascun cittadino dell’obbligo di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, per cui l’obbligo di registrazione del contratto di locazione si impone inderogabilmente alla volontà delle parti contraenti. La finalità della norma è chiaramente quella della emersione del reddito da fabbricati oltre al gettito fiscale derivante dalla registrazione stessa. La Corte costituzionale, nel qualificare l’effetto della mancata registrazione del contratto come nullità ex art.1418 c.c., ha tenuto conto della sanzione espressamente prevista dal legislatore. 24. Alla luce di quanto sopra, si osserva che l’interpretazione che parla di inefficacia del negozio non registrato svuoterebbe la sanzione prevista dal legislatore e ridurrebbe a mera “enfasi legislativa” la parola nullità, anche alla luce delle autorevoli indicazioni di cui sopra; il legislatore non voleva “sospendere” gli effetti della locazione sino alla registrazione, ma negarne la stessa validità sul piano dei rapporti interni alle parti se non e in quanto registrata. 25. Certo rimane la peculiarità di una nullità del contratto per contrarietà a norme imperative indipendente da violazioni attinenti ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, relativi alla struttura o al contenuto del contratto, ma che postula un’attività esterna alla formazione del negozio, che risulterebbe altrimenti privo di deficienze strutturali e ormai perfezionato. Ma proprio tale profilo rende ammissibile la possibilità di ricostruire la tardiva registrazione come fattispecie sanante con efficacia retroattiva della nullità del contratto,una volta adempiuto al precetto tributario. La stessa normativa fiscale, come ha previsto la sanzione della nullità in ipotesi di mancata registrazione del contratto di locazione, contemporaneamente ha previsto la possibilità di sanatoria, ammettendo la registrazione tardiva, come si rileva implicitamente da alcune delle norme suelencate ed esplicitamente dalla normativa sul ravvedimento. 26. Deve ricordarsi che l’art.3 del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 , relativo alle sole locazioni ad uso abitativo, prevedeva che dalla mancata registrazione “entro il termine di legge” (specificazione temporale che non è invece presente nell’art. 1, comma 346, L.n. 311/2004) derivassero conseguenze invalidanti per effetto delle quali sorgeva un diverso rapporto locativo, legalmente determinato quanto a durata e misura del canone. Sebbene la pronuncia della Consulta non abbia sottoposto la disposizione allo scrutinio di ragionevolezza, essendo assorbente la declaratoria di illegittimità per eccesso di delega, in motivazione ha definito la disciplina oggetto di censura “sotto numerosi profili rivoluzionaria sul piano del sistema civilistico vigente”; dall’altro, dopo aver ricordato che la legge delega (L. n. 42 del 2009) conteneva la prescrizione di procedere all’esercizio della delega nel “rispetto dei principi sanciti dallo Statuto dei diritti del contribuente”, richiamando in particolare l’art. 10 della citata legge n. 212 del 2000, ha rilevato che “tanto più la mera inosservanza del termine per la registrazione di un contratto di locazione non può legittimare (come sarebbe nella specie) addirittura una novazione – per factum principis – quanto a canone e a durata”. Tale motivazione sembra confortare la tesi dell’ammissibilità della sanzione dì nullità del contratto per mancata registrazione, tanto che la norma prevedeva la sostituzione del contratto non registrato con un contratto legalmente predeterminato, e della possibilità di sanatoria con effetto ex tunc della nullità per la successiva registrazione, che consente di conservare e dare stabilità alla volontà manifestata dalle parti nel contratto..

La specificazione temporale per la registrazione tardiva non è invece presente nell’art. 1, comma 346, I. n. 311/2004 e l’assenza – nella previsione della sanzione civilistica – del riferimento al termine di cui al dpr 131 del 1986, consente di leggere la norma nel senso che se il contratto è registrato (non importa quando) è contratto è valido.La tesi della nullità, che in ragione della sua atipicità, risulti sanabile con effetto ex tunc è coerente con i principi che sottendono al complessivo impianto normativo in materia dell’obbligo di registrazione del contratto di locazione ed in particolare con la espressa previsione di forme di sanatoria nella normativa succedutasi nel tempo e dell’istituto del ravvedimento operoso, norma che il legislatore ha mantenuto stabile nel tempo potenziandone l’applicazioneo. Infatti il fine che ha guidato l’introduzione di norme più stringenti come strumenti di contrasto all’evasione – come messo in luce più volte anche dalla difesa erariale nei giudizi di costituzionalità, insieme alla sottolineatura che la materia delle locazioni è tra quelle più esposte all’evasione fiscale, considerata la diffusa prassi delle cosiddette locazioni “in nero” – è quello di indurre il locatore ad effettuare tempestivamente la registrazione del contratto e a non mantenere il rapporto “al nero”, utilizzando anche norme che mettono in contrasto i diversi interessi del locatore e del conduttore. Infatti la previsione della nullità del contratto rende privo il locatore della possibilità di riscuotere il canone derivante da un contratto nullo e consente al conduttore di richiedere indietro quanto versato di più del dovuto. La possibilità di sanatoria con efficacia ex tunc in esito alla tardiva registrazione consente di mantenere stabili gli effetti del contratto voluti dalle parti sia nell’interesse del locatore, che potrà trattenere quanto ricevuto in pagamento, che nell’interesse del conduttore, che non rischierà azioni di rilascio e godrà della durata della locazione come prevista nel contratto e, per le locazioni non abitative, non incorrerà negli effetti negativi segnalati da parte della dottrina quali la perdita del diritto all’avviamento il diritto alla prelazione, come pure la libera trasferibilità dell’azienda e del contratto di locazione. Effetti negativi, questi ultimi, che non appaiono superabili o non interamente superabili con il riconoscimento di un’efficacia ex nunc del contratto; posto che – individuato il dies a quo nella data della registrazione – il dies ad quem dovrebbe, comunque, risultare quello fissato dalle parti contraenti. Una diversa opzione, secondo cui l’intera durata della locazione dovrebbe computarsi dalla data della registrazione, si collocherebbe, invero, fuori dalla stessa logica della sanatoria del contratto, postulando, in definitiva, un contratto nuovo e diverso da quello voluto dalle parti. Inoltre – ferma la specialità della disciplina prevista per le locazioni ad uso abitativo dall’art. 13 L. n.431 del 1998 – non appare superfluo rilevare, in funzione dì una lettura coerente del sistema, che le modifiche apportate, da ultimo alla norma cit. dall’art. 1, comma 59 L. n.208 del 2015, (segnatamente, laddove prevedono che nel caso «in cui il locatore non abbia provveduto alla prescritta registrazione del contratto nel termine di cui al comma 1 …» dello stesso articolo – termine che è di trenta giorni dalla stipulazione del contratto – il conduttore abbia facoltà di agire in giudizio per ottenere che “la locazione venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 2 ovvero dal comma 3 dell’articolo 2” stessa legge e stabiliscono che “nel giudizio che accerta l’esistenza del contratto di locazione il giudice determina il canone dovuto ….) convalidano la tesi – per quanto qui ci occupa – che l’emersione del contratto ai fini fiscali, per effetto della sua tardiva registrazione, comporti il riconoscimento della sua (giuridica) esisten

La sanatoria della nullità con effetti ex tunc si inserisce coerentemente nel complesso delle norme tributarie che, in particolare a partire dal 1998, hanno superato il principio tradizionale della non interferenza della norma tributaria con gli effetti civilistici del contratto, introducendo e potenziando gli istituti del ravvedimento e prevedendo espressamente la sanzione più radicale per il mancato rispetto dell’obbligo di registrazione del contratto. Tale interpretazione non si pone in contrasto con la sentenza delle S.U. del 2015 che, se pure provvedendo su una ipotesi diversa, ha comunque affermato che “Se la sanzione della nullità derivasse dalla violazione dell’obbligo di registrazione, allora sembrerebbe ragionevole ammettere un effetto sanante al comportamento del contraente che, sia pur tardivamente, adempia a quell’obbligo”.

.La decisione della Corte di appello deve pertanto essere confermata, anche se la motivazione deve essere corretta nel senso che nella fattispecie in oggetto si rinviene una ipotesi di nullità del contratto di locazione, che in ragione della sua atipicità, quale emergente dalle argomentazioni che precedono, risulta sanata con effetti ex tunc dalla tardiva registrazione del contratto.

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