Chiarezza e sinteticità nella redazione degli atti giudiziari

Importante sentenza della Cassazione Sezione Seconda Civile n. 21297 pubblicata il 20 ottobre 2016 che spiega la portata dell’obbligo di redigere atti giudiziari chiari e sintetici.

Secondo la Corte il rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva negli atti processuali costituisce principio generale del diritto processuale, la cui inosservanza nella proposizione del ricorso di cassazione, pur non direttamente sanzionata, rischia di pregiudicare l’intelligibilità delle questioni sottoposte all’esame della Corte, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c., poste a pena di inammissibilità.

Il ricorrente aveva esposto i fatti di causa in 41 pagine di cui 40 erano una riproposizione dei motivi di appello ed i 18 motivi di ricorso in 191 pagine (per un totale complessivo di 251 pagine di ricorso considerando anche il sommario e l’indice) mediante la riproposizione di stralci di documenti ed atti dei precedenti gradi.

La Cassazione ha sanzionato il ricorso con la inammissibilità ritenendo la tecnica redazionale incompatibile con i principi elaborati dalla Corte sull’art 366 cpc: l’esposizione dei fatti di causa non può tradursi nella trascrizione di passi degli atti del giudizio di merito (cfr Cass SU ord 19255/2010 e sent 5698/12). L’esposizione dei fatti di causa nemmeno può ricavarsi nel caso di specie dai motivi di ricorso – con il che secondo taluna giurisprudenza si eviterebbe l’inammissibilità – che sono anch’essi redatti in modo errato in quanto consistono in un affastellamento di parti di atti dei precedenti gradi e di altri giudizi. Questa tecnica redazionale viola i principi di chiarezza e sinteticità e già Cass 17698/14 ha ritenuto che il mancato rispetto di tali principi ridonda nell ‘inammissibilità giacche comporta violazione dell’art 24 Cost sotto il profilo di menomare l’effettività della tutela dei diritti e dell’art 111 Cost in tema di giusto processo.

La Corte evidenzia che a stretto rigore nel codice di procedura civile non c’è una norma che impone la sinteticità nella redazione degli scritti difensivi; tale principio è stato invece introdotto nell’art 3 comma 6 del D.Lvo 104/2010. Ebbene la Cassazione ritiene che tale norma sia espressione di un principio generale del diritto processuale, destinato a operare anche nel processo civile perché funzionale a garantire sia la ragionevole durata del processo (art 111 Cost) sia il principio di leale collaborazione tra le parti e tra queste e il Giudice . Il fatto è peró che non vi è una specifica sanzione per l’inosservanza del principio di sinteticità e quindi un ricorso prolisso non può per ciò solo essere dichiarato inammissibile. Peró la Corte ritiene che il ricorso sia inammissibile laddove la ridondanza si traduca in una oscura esposizione dei fatti di causa e nella enucleazione di motivi di ricorso oscuri e confusi e cioè nella violazione dell’art 366 cpc nn.  3 e 4.

Qui il link per leggere la motivazione sul sito della Corte Cass Civ 21297 del 2016

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